Buongiorno,
vi scrivo perché la persona che amo e io ci siamo allontanati per la terza volta in quattro anni di relazione. Io ho 35 anni, lui 34. Questa volta sento di avere una maggiore consapevolezza delle dinamiche tra di noi. Io ho uno stile di attaccamento ansioso, mentre lui è evitante, e il suo comportamento ha acuito la mia insicurezza.
Entrambi siamo in terapia: io da molti anni per ansia e depressione, lui da un paio d’anni. In passato aveva già iniziato un percorso psicoterapeutico, ma lo aveva interrotto dopo pochi mesi. Nonostante i miei progressi rispetto alla depressione, quest’anno è stato difficile. Penso che lui abbia fatto un ottimo lavoro stando al mio fianco, ma la mia ansia è diventata predominante, portandomi a proiettare su di lui molte insicurezze, cosa che ha reso difficile il rapporto.
Qualche mese fa ho avuto un incidente d’auto tornando da casa sua. Questo evento mi ha fatta sentire fragile e insicura, considerando che già avevo una bassa autostima. Lui si è sentito in colpa perché quella sera ero uscita per accompagnarlo. Da allora, ho avuto la sensazione che le mie fragilità abbiano ulteriormente complicato le cose.
Credo che possa avere un disturbo borderline, ma non ne abbiamo mai parlato direttamente. Il suo terapeuta è specializzato in DBT. Una volta, durante un momento di sconforto, mi ha urlato: "Vuoi sapere quale sia il mio problema?" Io gli ho risposto di no, dicendo che non avevo bisogno di etichettarlo per stargli accanto. Da quando lo conosco, ho notato in lui solitudine, rabbia, bassa autostima, vuoto interiore e, a volte, comportamenti autolesionistici: si graffia con le unghie, si prende a schiaffi o si colpisce alla testa per punirsi. Capita che si abbuffi in certi momenti.
Anche la sessualità è motivo di sofferenza per lui. Ad esempio, sente di avere molto desiderio nei miei confronti, ma lo reprime. Crede che non sia “giusto”. Anche in solitudine prova spesso desideri sessuali e fantasie, ma si giudica molto, definendosi un "pervertito" e pensando di avere un numero di impulsi fuori dalla norma. Io l'ho sempre rassicurato sulla normalità delle sue pulsioni e dei suoi desideri, spiegandogli che erano comuni a un ragazzo della sua età. Gli dicevo che anch’io provavo gli stessi desideri e che non c’era nulla di sbagliato in lui. Nella nostra storia, ha sempre alternato periodi di forte desiderio di intimità a periodi di distanza e assenza di rapporti, anche per mesi.
Le nostre rotture sono sempre state decise da lui, mentre io le ho subite, perché credevo che i conflitti andassero affrontati insieme. Le prime due separazioni avvennero nei primi mesi della relazione, quando ci conoscevamo ancora poco. La prima fu scatenata da una mia esitazione nel ricambiare un "mi manchi", che lui interpretò come un rifiuto. All'epoca ero più riservata, reduce da anni da sola, e avevo bisogno di andare con calma, mentre lui si mostrava subito molto coinvolto, quasi in modo adolescenziale. Cercava molte attenzioni e faticava a stabilire confini sul tempo trascorso insieme, cosa che a volte risultava soffocante. Mi bloccò ovunque e si allontanò. Dopo cinque mesi di silenzio, fui io a cercarlo, avendo compreso quanto fosse importante per me. Mi raccontò di aver provato odio verso di me, attribuendomi la colpa della sua sofferenza, ma io volevo dimostrargli che ero molto più di come mi vedeva. Con il tempo riprendemmo a frequentarci, vivendo momenti più leggeri e complicità che lui stesso diceva "gli facevano ben sperare".
La seconda rottura avvenne dopo quattro mesi di relazione, a causa di tensioni continue e accuse reciproche. Le discussioni si accendevano per motivi banali, come un mio ritardo o un commento sul suo aspetto, e ho imparato a capire le sue insicurezze e la sua bassa autostima. Con il tempo, però, iniziò a incolparmi di tutti i problemi della coppia, mentre io proponevo di lavorare insieme per migliorarci. Lui reagiva male, dicendo che dovevo analizzarmi e che tutto dipendeva da me. Mi lasciò di nuovo, sostenendo che fosse una scelta razionale, pur dicendo che mi amava e che avrebbe sofferto.
Questa volta non mi bloccò subito, chiedendomi solo di rispettare il suo bisogno di distanza. Tuttavia, dopo qualche settimana, in un momento di debolezza, gli scrissi un messaggio d’amore e lui mi bloccò immediatamente. Nei 5-6 mesi successivi, cominciò a cercare la mia attenzione in modo indiretto: mi sbloccava sui social per qualche ora, condivideva contenuti malinconici e frequentava luoghi dove potevamo incrociarci.
Ci siamo incontrati due volte per caso. La prima, lo salutai, ma lui rispose con un cenno veloce, allontanandosi. La seconda volta scambiammo poche parole, ma era visibilmente imbarazzato. Con il tempo abbiamo ripreso a parlare e a frequentarci, ricostruendo una connessione più gradualmente..
Da lì, abbiamo costruito una relazione durata due anni, il periodo più lungo che abbiamo passato insieme. A differenza dei primi tempi, in questa fase non abbiamo dato una definizione precisa al nostro rapporto, anche se nei fatti eravamo una coppia a tutti gli effetti. All'inizio lui sembrava spaventato dall’idea di etichettare il nostro legame e insisteva su alcune rigidità, come il non tenermi per mano o non baciarmi, dicendo: "Questo lo si fa con la propria fidanzata." Come se condividere ogni momento, supportarsi ogni giorno e vivere l’intimità non fossero già l’essenza di una relazione. Capendo che queste etichette gli creavano ansia, l’ho invitato a vivere il nostro rapporto senza pressioni.
In questi due anni abbiamo vissuto pienamente: ci siamo conosciuti e supportati come mai prima, affrontando nuove esperienze insieme e crescendo entrambi. Siamo stati complici come non mai. Mi ha persino chiesto di andare in vacanza per il suo compleanno, un grande passo rispetto all’anno precedente, quando aveva scelto di partire da solo.
Tuttavia, non sono mancate difficoltà, più legate alle nostre individualità che alla coppia. C'erano momenti in cui diventava molto ansioso, aveva delle crisi e aveva bisogno di rassicurazioni continue e si chiedeva spesso se fosse una persona valida, “normale”, o se gli volessi davvero bene. A parole negava che avessimo una relazione, ma ogni sera ci dicevamo "ti voglio bene" al telefono. Quella frase, per quanto semplice, sentivo che veniva dal cuore, e capivo quanto fosse importante per lui riuscire a pronunciarla. Quando eravamo ufficialmente fidanzati, mi aveva detto “ti amo” solo una volta, mentre ero più io a dirlo. Mi spiegava che lo sentiva, ma non riusciva a dirlo, preferendo un “ti voglio bene.”
Negli ultimi mesi prima della rottura, il nostro equilibrio è stato messo a dura prova. Io stavo affrontando un momento fragile dopo l’incidente e avevo meno tempo da dedicare al nostro rapporto, impegnata com’ero con la fisioterapia. Lui, dal canto suo, viveva una situazione difficile al lavoro e, forse, risentiva della mia fragilità.
Da maggio, ha iniziato a organizzare più weekend da solo, partecipando a festival ed eventi musicali. Entrambi amiamo la musica, e di solito frequentavamo concerti ed eventi insieme. Io ho iniziato a spaventarmi, temendo che qualcosa stesse cambiando. Lui aveva paura di sentirsi solo a questi eventi, ma in realtà ha conosciuto nuove persone. Ero felice per lui, anche perché in quei momenti condivideva sempre con me ciò che stava vivendo: mi mandava video, mi parlava di quello che faceva e mi chiamava spesso. Forse, in quel momento, non ho apprezzato abbastanza i suoi sforzi di condivisione, che per lui erano enormi, considerando la sua personalità. Ne avevamo parlato in passato. Gli avevo fatto notare che mi sembrava strano che, quando era in una situazione condivisa precedentemente insieme, non pensasse a me abbastanza da mandarmi una foto o un messaggio. Credo che abbia provato più volte a capire e a soddisfare questo mio desiderio. Nonostante le discussioni spiacevoli su questo tema, lui diceva sempre: "Ho bisogno di fare queste cose in modo naturale, non sentirle come un obbligo."
La distanza tra noi è diventata evidente una sera in cui eravamo in due città diverse. Io ero con la mia famiglia, in un momento difficile, e avevo bisogno di sostegno. Lui, però, era distratto e rispondeva ai miei messaggi in modo incoerente, come se non ne leggesse il contenuto. Quella sera mi ha detto che sarebbe uscito. Io gli ho risposto che avrei voluto essere lì anch’io (intendevo dire che mi sarebbe piaciuto vivere quel momento con lui e non essere costretta in una situazione spiacevole), ma subito, in modo difensivo, ha risposto: "Cosa, dovrei restare a casa e deprimermi?" e io ho detto: "No, ricorda che ti avevo parlato di questo evento; sono felice che tu ci vada, mi sento solo triste perché presumi che voglio che tu resti a casa a deprimerti." Poi si è scusato, dicendo che non voleva farmi arrabbiare. Più tardi quella sera, mi ha mandato dei video e ci siamo parlati prima di andare a letto. Gli ho detto che era stata una giornata difficile, che avevo tante cose per la testa, ma lui ha continuato a parlare delle persone che aveva incontrato quella sera e non ha capito le mie esigenze né mi ha chiesto cosa avessi. Io ho reagito male, smettendo di rispondere ai suoi messaggi. Mi sono sentita abbandonata.
Ne abbiamo parlato due giorni dopo, e gli ho detto che mi sentivo invisibile. Lui si è proposto di ascoltarmi, se avessi voluto parlarne, ma inizialmente non capiva che ero delusa da lui. Quando ha capito di essere la causa del mio malessere, si è sentito accusato e dubbioso, associandomi subito a una fidanzata gelosa. Riconosco che ero molto ansiosa e bisognosa di conferme in quel periodo, e gli ho detto che mi sentivo all'ultimo posto nella sua lista, dopo festival, lavoro e amici.
Lui ha ammesso che era distratto dai problemi e disconnesso, che in quel momento non riusciva a empatizzare e voleva solo distrarsi, ma ha sottolineato che questo non significava che non fossi importante. Ha proposto di parlarne di persona per evitare fraintendimenti. Cercava di calmarmi, ma sembrava impossibile. Purtroppo, aveva ragione ed era più lucido di me in quel momento.Già lo trattavo come se mi stesse abbandonando, perché mi sentivo abbandonata, e gli dicevo frasi come: "Ho cercato di darti il meglio di me, e non è stato abbastanza" o "Finalmente hai gli amici che volevi." Erano parole definitive, che lui ha accolto dicendo che ne avremmo parlato con calma di persona, quando sarei stata pronta a riflettere sulle cose.
Di persona, infatti, è andata peggio che a distanza, perché siamo arrivati all'incontro già disregolati. Io, con il mio attaccamento ansioso, sentivo l'urgenza di chiarire appena arrivata in città. Quando l'ho chiamato, all'inizio era libero, ma poi è andato a pranzo con un amico che non vedeva da più di un anno. In quel momento mi sono innervosita ancora di più: "Come può non avere la stessa urgenza di chiarire? Non gli importa? Io sto tornando da un viaggio di diverse ore e sto facendo i salti mortali per vederlo."
Sfortunatamente, sarebbe stato meglio prendersi del tempo e qualche giorno di distanza. Invece, mi sono arrabbiata, e lui si è innervosito a sua volta, sentendosi ingabbiato. Quando ci siamo incontrati, abbiamo litigato. Lui mi ha detto: "Mi vuoi tutto per te," "Vuoi che sia il tuo fidanzato," "Ho bisogno di stare solo ora," "Ti va bene che io esca purché lo faccia da solo; se sono con qualcuno, non ti sta bene." Soprattutto, ha sottolineato che io fossi infastidita perché le sue nuove conoscenze erano per lo più femminili, eccetto un ragazzo. Gli ho spiegato che, fin da quando lo conoscevo, frequentava principalmente amiche e che, se fosse stato un problema di gelosia, avremmo discusso per ogni occasione analoga. Ma lui non riusciva a capire, pensando che le altre situazioni fossero semplicemente "concessioni" da parte mia.Ho criticato il suo atteggiamento spensierato e la voglia di partecipare agli eventi "come un adolescente in crisi," mentre io affrontavo problemi di vita. Lui, arrabbiato, ha risposto: "Non saprai più dove sono o con chi sono."
È stata una discussione accesa e intensa. Ho pianto molto, dicendo che aveva un pregiudizio nei miei confronti, credendo che io volessi limitarlo, ma che questa convinzione derivava dal suo passato, non da me. A un certo punto, ho voltato le spalle e mi sono incamminata verso casa, dicendo: "Mi hai persa," piangendo. È stato lui a rincorrermi. La discussione è finita perché voleva guardare la partita.
Nel mese successivo, siamo rimasti separati. Ci siamo visti solo in due occasioni già organizzate. In entrambe le occasioni, l'ho visto sofferente e rigido, ma comunque siamo riusciti a passare un po' di tempo insieme. Mi diceva: "Finché si tratta di stare insieme a un concerto, non è che non possiamo farlo," ma c'era imbarazzo e difficoltà. Alla fine, ha detto: "Un giorno parliamo," e io ho risposto: "Okay, quando saremo pronti, senza urgenza."
é passato del tempo, e ho aspettato che potessimo parlare, come aveva richiesto lui. Quando si avvicinava la mia partenza per le vacanze, volevo affrontarlo prima di partire. Gli ho chiesto se fosse ancora dell'idea di parlare, e ci siamo incontrati. Questo è stato il nostro ultimo incontro di persona, a fine luglio.Purtroppo, si è presentato molto arrabbiato ed emotivo (non lo era stato durante i due eventi precedenti) e ha detto che poteva restare solo un'ora. Ho reagito male, trovandolo poco rispettoso, e gli ho detto: "Se questa è la premessa, tanto vale non parlarci. Come possiamo avere una conversazione con un timer?" Ho cercato di fargli capire che avevo riflettuto sul mio comportamento di quel mese, che ero caduta nella trappola della mia ansia e avevo sbagliato ad aspettarmi che fosse sempre connesso con me. Ho cercato di spiegargli i nostri meccanismi, ansioso e evitante, e come questi si attivassero a vicenda. Ho proposto di trovare insieme una strategia per gestire meglio le situazioni. Tuttavia, lui sembrava totalmente disconnesso, come se fremesse, aspettando solo il suo turno per parlare e sfogare la sua rabbia. E lì ho rivisto la persona delle primi discussioni, che mi riproponeva il solito out out. Quando ha iniziato a parlare, ha detto: "Litighiamo troppo. Per me, anche solo una volta è troppo. Voglio tornare dal lavoro e sentirmi leggero." L'ho interrotto subito, dicendo che non era vero, che negli ultimi anni eravamo migliorati molto, e che nei rapporti umani è normale avere confronti. Si è arrabbiato perché l'ho interrotto: "Ti ho ascoltata per venti minuti. O mi ascolti senza interrompermi, o me ne vado." È uscito di casa, io non l'ho rincorso e non volevo assecondare i suoi ricatti. E’ tornato indietro e ha continuato, dicendo: "Abbiamo momenti incredibilmente belli, forse anche i migliori, e momenti molto bassi e dolorosi. Mi idealizzi e poi mi svaluti tantissimo." Ha citato una discussione di due anni prima, di cui nemmeno ricordo i motivi. In pratica, voleva dimostrare a tutti i costi che era giusto chiudere. Inoltre, ha tirato fuori l’ipotesi di “innamorarsi di un’altra”. Spesso, durante le discussioni, usava questa via di uscita, citava questa ipotetica partner ideale di cui si sarebbe innamorato: lei, sicuramente perfetta e con cui non avrebbe discusso neanche una volta.
Poi mi ha detto che aveva parlato di me con il suo terapeuta e che la cosa l'aveva turbato, come se fossi un problema. Ho sempre avuto l'impressione che evitasse di parlare di me in terapia, e questo mi è sempre sembrato un comportamento evitante. Lui, però, ha spiegato che nelle sue sedute aveva bisogno di discutere problemi più urgenti riguardanti se stesso. In quel momento ha detto: "Non dovrei parlare di TE, ma dei miei problemi mentali che devo affrontare." Io gli ho risposto che, parlando delle nostre relazioni con gli altri, possiamo comprendere meglio noi stessi e che discuterne è importante. Ma non è servito. Ha ribadito che non stava bene e, riferendosi alla nostra relazione, ha parlato di dipendenza. Ha detto che io non volevo accettare, ma dovevo riconoscere che eravamo dipendenti l'uno dall'altro e che finivamo per farci del male. Io trovavo quell’etichetta di dipendenza come una nuova scusa e giustificazione al dimostrarmi che non potevamo continuare a stare insieme.
Nel discutere mi è capitato di usare la parola "rapporto" per descrivere ciò che ci legava, lui, stizzito, ha detto: "Noi non abbiamo nessun rapporto." Ma lo stesso, poco dopo, però, ha aggiunto: "Noi cosa siamo? Siamo tutto: amici, amanti, fratelli, terapeuti, sostenitori."
Come si può essere tutto e niente allo stesso tempo?
L'ho visto ferito e arrabbiato. Mi ha detto che avevamo litigato anche per quei nuovi amici che ora non c’erano più e che l'avevano abbandonato. Ho percepito tutta la sua sofferenza. Mi ha chiesto perché non potessimo essere come me e il mio migliore amico (un caro amico che però ormai frequento e sento poco, nonostante ci leghi un grandissimo affetto. Viviamo in città diverse e abbiamo vite completamente differenti, e ovviamente con lui non ho mai avuto una relazione). Ho visto rabbia nei miei confronti nel suo atteggiamento. Rinfacciava anche la quotidianità come un peso, ad esempio "venire a cena da me". Mi feriva e sentivo ingratitudine e insofferenza nei miei confronti. Mi faceva notare che avrebbe tardato e perso i suoi presunti (o veri) impegni perché la discussione si stava prolungando. A quel punto l'ho invitato ad andarsene, dicendo che non volevo che mi rinfacciasse di non essere andato dove aveva previsto. Mi ha salutato dicendo: "Pensa tu a una strategia e poi me la dici, io non ho la testa." L'ho trovato risentito: diceva che si sentiva male, che non aveva più risorse, che aveva bisogno di prendersi cura di sé, di spazio e di tempo, e che non sapeva per quanto.
Quel giorno ho reagito alle sue richieste in modo disperato, piangendo e implorando una soluzione. Il giorno dopo, però, ero molto più lucida e sicura di me. Ho capito che non potevo fare nulla e che lui era sopraffatto. Amarlo significava anche lasciarlo andare, se era quello che chiedeva. È stato lui a chiamarmi, non io. Gli ho detto: "Okay, prenditi cura di te, e io mi prenderò cura di me: questa è la priorità per ora." È rimasto sorpreso dal mio nuovo atteggiamento e mi ha chiesto: "Perché non piangi più oggi?" Mi ha detto che si sarebbe chiuso in casa e non avrebbe voluto vedere nessuno. Ma so che ha continuato a partecipare a eventi e a distrarsi; ha solo smesso di condividerli sui social media, cosa che prima faceva regolarmente. Non so se lo faccia per punirmi per aver criticato questo aspetto, per non farmi sapere dove va (anche se frequentiamo gli stessi posti), per evitare di incontrarmi o per farmi credere che si sia ritirato.
Una notte mi ha scritto un messaggio e lo ha cancellato dopo pochi minuti. Aveva scritto: "Mi dispiace per tutto, è colpa mia! Mi dispiace se non provo le stesse cose che vuoi che io provi e se non voglio le stesse cose. Se sono egoista e privo di empatia. Se pensi che ti abbia usato, non è vero: so solo che valgo molto poco. Abbiamo costruito una relazione che è diventata troppo intensa, e questo mi ha spaventato sempre di più. Ma ho contribuito anch'io a questo. Sono estremamente confuso in ogni senso. Sto cercando di concentrarmi su me stesso, ma non ci riesco. Forse, quando sarò guarito, sarò una persona più accettabile. Sono perso, non so cosa voglio o non voglio. E ho appena commesso un errore inviandoti questi messaggi."
Dopo 10 giorni, ha provato a chiamarmi, ma non ho risposto. Quella chiamata mi ha destabilizzato e confuso; era totalmente inaspettata per me. Stavo cercando di metabolizzare quanto successo e ero sicura che per un po’ non l’avrei sentito. Da una parte ero felice, ma pensavo: "Non posso essere sempre disponibile solo quando decide lui." Ho aspettato di vedere se a quel tentativo sarebbero seguiti altri gesti decisi, come messaggi o richieste di sentirci, ma non è successo nulla. Due giorni dopo, gli ho scritto: "Mi hai chiamato?" ma non ha mai risposto. Poi ho avuto problemi con il telefono, e giuro che non capisco la coincidenza, ma purtroppo è uno dei miei contatti preferiti e due chiamate sono partite per sbaglio. Una settimana dopo, una chiamata è partita dalla mia borsa per errore. Ho scoperto che aveva risposto e aveva ascoltato per tre minuti mentre parlavo con mia madre. Quando me ne sono accorta, ho riattaccato subito la chiamata. Mi è sembrato molto strano e ho pensato fosse segno della curiosità di sapere cosa facessi e con chi fossi. Qualche giorno dopo è partita un'altra chiamata, ma stavolta me ne sono accorta subito. Ho riattaccato e gli ho mandato un messaggio dicendo che era stato un errore. Non ha mai risposto.
Ad un certo punto ha condiviso sui social una canzone nostalgica, con il testo che diceva: "E vieni a vivere con me / In un mondo crudele, vieni qui / a sopportare la sua follia." La canzone prosegue con: "Non mi è rimasto nessuno, e non ho mai amato nessuno come te."
Pochi giorni dopo, ha pubblicato delle storie su Instagram che ritraevano alcuni luoghi che avremmo dovuto visitare insieme. Mi sono sembrati messaggi indiretti, ai quali non ho reagito. Non voglio dare troppo peso a questi comportamenti sui social, che per me sono sempre stati secondari. Tuttavia, durante la nostra relazione, lui ha spesso veicolato messaggi proprio tramite i social, e per questo a volte cerco di trovare lì le risposte che non ricevo direttamente da lui. Io non sono molto attiva sui social, ma mi è capitato di postare due fotografie mie in tre giorni, in cui apparivo sorridente. Dopo un paio di giorni, lui ha bloccato la visualizzazione delle storie Instagram che condivideva, non solo a me, ma anche a tutte le persone a me vicine (familiari e amici). Non trovo il senso, non ha scelto di oscurare me alla sua vista per non suscitare alcuna emozione, ma al contrario ha privato me della possibilità di vedere le sue condivisioni. Devo dire che è molto strategico e controllante nell’operare restrizioni social in generale, ad esempio sapevo che aveva “silenziato”, oscurato alla sua vista degli amici di adolescenza che lo avevano ferito e con cui formalmente continuava a essere “amico” via social ma preferiva non vedere i loro contenuti. Mi sarei aspettata questo atteggiamento anche nei miei confronti, invece, sono comunque sbloccata dappertutto, ma non posso vedere i suoi video condivisi. L’assurdità è che, nelle precedenti rotture, aveva scelto di bloccare completamente ogni contatto su qualsiasi mezzo ci legasse. Questa volta, invece, tutto è rimasto lì: sospeso. Cartelle condivise, itinerari di viaggio, playlist, tutto è ancora accessibile. Nel frattempo, da quando ci siamo separati, lui continua a visualizzare tutti i contenuti che mia sorella condivide sui social.
In tutto il tempo distante ho attraversato momenti di grande dolore e sofferenza che mi mettono a dura prova.
Ho riflettuto molto e capito che entrambi abbiamo portato le nostre fragilità nella relazione, e ho maturato la consapevolezza che entrambi abbiamo bisogno di lavorare su noi stessi per poter essere felici, da soli o con qualcun altro. Molte volte mi sono chiesta cosa avessi sbagliato, dove potessi agire differentemente e cosa pensasse lui in questo tempo lontani. Pian piano ho guardato il mio dolore e ho cercato di prendermi per mano, riappriopriandomi di un pezzetto delle mie giornate poco alla volta. Sto cercando di lavorare su di me e sulla mia autostima, ho ripreso l’attività fisica e cerco di costruire il mio futuro. Mi chiedo ancora se lui tornerà nella mia vita, ma sento di non volerlo rincorrere più. Se voglio che qualcosa cambi nella dinamica tra noi due, sarò la prima a cambiare. Non so quanto la sua fuga si attui anche perché sa che io lo vado a cercare. Ma oggi, non sento di dover dimostrare e convincere del mio valore nessuno, io posso occuparmi di me ma non posso lottare per una relazione da sola. Questo è cambiato in me, sento che non posso rincorrere chi non mi vuole. Voglio qualcuno che mi voglia tanto quanto io voglia lui. La mia porta resta aperta, ma non a zero condizioni. Se dovesse tornare nella mia vita avrò bisogno di capire se questa persona ha raggiunto delle consapevolezze e ha voglia di crescere insieme. Sebbene non abbia mai dubitato della bontà della sua anima, ho sempre creduto che mi volesse sinceramente bene e mi amasse anche se ne fosse spaventato..
Molte volte mentre vivevamo momenti intensi e leggeri, ad un certo punto qualcosa innescava la sua ansia e andava in crisi, come dovesse ridimensionare quello che vivevamo e non dovesse farsi trascinare dal sentimento.
Ad oggi mi capita di dubitare ogni tanto della sua totale bontà, perché sento che ha degli atteggiamenti punitivi nei miei confronti di cui non so quanto sia consapevole e quanto sia mossi nella necessità di proteggersi..
Molte volte mi ha detto che vuole il meglio per me, la mia felicità, che io mi prenda cura di me stessa, che merito di più nella vita e che ammira la mia forza nel continuare a lottare nonostante le difficoltà. E credo davvero che lo intenda sul serio, non lo dice solo per cortesia. A volte si incolpa persino di aver reso le cose più difficili per me.
Lo vedo molto isolato e 'indipendente' durante i periodi in cui siamo stati distanti e in conflitto, ma quando andiamo d'accordo, diventa in qualche modo dipendente da me, e finisco per essere quella più matura e autonoma. Si appoggia a me per prendere decisioni durante la giornata o quando è ansioso, nella gestione della sua vita o dei suoi problemi. Mi dice spesso che non dovrebbe aggrapparsi a me o dipendere da me. Eppure, anche in questi due anni e di recente, ha sempre avuto bisogno di chiamarmi durante il giorno, anche durante la pausa pranzo al lavoro, per avere rassicurazioni. Spesso mi chiede se tengo a lui, se lo vedo come una brava persona e se ci sono per lui. Purtroppo, le nostre circostanze personali e le esperienze familiari pesano molto sulle nostre vite. Ha un padre molto controllante, anche ora che ha 34 anni: suo padre controlla le sue email e il suo conto in banca. Quando si tratta di problemi ordinari, suo padre vuole che si affidi a lui, e lui si trasforma in un bambino, chiedendo aiuto a un padre che gli urla sempre contro che è incapace di gestire le cose e che deve fare a modo suo. Poi si incolpa e si rimprovera, e l'ho visto darsi schiaffi quando queste situazioni lo turbano, quando sente di aver commesso un errore o di essere inadeguato. Spesso l'ho incoraggiato a non coinvolgere suo padre se, per esempio, qualcosa si rompe in casa o se la sua carta di credito non funziona, ecc., ma vedo che fa parte di un ciclo: chiama automaticamente suo padre, che poi gli conferma che è incapace e in torto.
Ho sempre creduto che il problema della sua confusione nella relazione con mederivi dalle sue paure, dai suoi trigger e dalla difficoltà nel gestire i conflitti. In passato, mi ha detto questo: che la sua testa gli dice che non è GIUSTO stare insieme (non capisco perché, forse perché finisce per soffrire?), mentre il suo cuore gli dice che mi vuole. Penso che la chiave stia nella sua paura dell'intimità, nella sua incoerenza nelle relazioni. Credo che con nessuno abbia mai avuto una relazione tanto profonda e intima, nonostante precedenti relazioni e che nessuno muova in lui determinate paure come me. Spesso è poco costante nelle relazioni, anche con la terapia, l'ha abbandonata in passato dicendo che voleva gestire le cose da solo, che era inutile (in molte cose arriva a un punto in cui vuole mollare quando si sente deluso da qualcosa, come lo sport o le amicizie) e per mettere alla prova il terapeuta, per vedere se lo avrebbe rincorso dicendogli che doveva restare.
Mi sembra che il suo bisogno di prendere le distanze stia diventando ciclico. L'intimità va bene se è lui a cercarla e ad averne bisogno. Altrimenti, se la chiedo io, la vive come una minaccia alla sua indipendenza. Se gli faccio notare una mancanza o qualcosa che mi ferisce, lo interpreta immediatamente come un rifiuto totale della persona e come un giudizio, mentre vorrei solo fargli capire alcuni suoi atteggiamenti con la speranza di venirci incontro. Per lui, è come se la relazione dovesse essere solo idilliaca, perfetta, altrimenti non vale nulla. Mi ha detto che non vorrebbe mai discutere.
Faccio fatica a conciliare la sua vicinanza quotidiana e il suo bene con una distanza così profonda ora. So che insieme abbiamo una connessione unica che sono sicura di non ho sentito solo io, come si può da quel tutto al nulla di ora?
Mentre i primi mesi di distanza ho fatto fatica a vivere situazioni sociali per il dolore che provavo, sebbene a volte volessi combattessi con il desiderio di uscire con la speranza di incontrarlo nei posti che frequentiamo, ho recentemente cominciato a essere più attiva e meno rinunciataria.
È capitato che nelle ultime due settimane ci siamo incontrati due volte; in entrambe le situazioni si trattava di posti piccoli e con poche persone. I nostri artisti preferiti erano in città ed era ipotizzabile per entrambi potesse succedere di vedersi . La prima volta che ci siamo visti nello stesso posto è stato imbarazzante perché erano presenti anche degli amici suoi che conosco e con cui sono uscita qualche volta. Lui, sebbene ci siamo incrociati alla porta d’ingresso della sala, lui usciva e io entravo, ha tenuto lo sguardo alto facendo finta di non vedermi, mi ha innervosita, ho detto “ciao” scocciata dal suo atteggiamento, ha risposto esitando ed è andato avanti. Poi tutto il resto della serata mi ha evitato stando fuori dalla sala a parlare con altre persone o in fondo alla sala mentre io ero avanti. Io stessa non abbandonai la mia postazione, decidendo di evitarlo e non andarlo a cercare. Mi sentii superiore. Sebbene fossi delusa, mi ricordai perché fossi lì e cercai di divertirmi e vivermi il momento.
La seconda volta qualche giorno fa, ci siamo ritrovati nello stesso posto, entrambi eravamo soli. Io all’inizio non l’avevo visto e quando mi sono accorta della sua presenza ho fatto comunque finta di nulla, pensando di vedere come si comportasse stavolta. Con il passare della serata mi è stato chiaro che facesse in modo di stare sempre qualche passo indietro a me, o lateralmente nascosto da qualche persona, arrivando a nascondersi in bagno tra un cambio palco e l’altro, finchè ad un certo punto durante un’esibizione io mi allontano per andarmi a sedere in fondo alla sala e lui che era più indietro di me fa lo stesso, nello stesso momento mio anticipando di qualche passo. Così mentre vado a cercare posto me lo ritrovo girato di spalle davanti a me che andava anche lui verso il fondo della sala. Al che mi è sembrato ancora una volta assurdo e paradossale che gli ho bussato nella spalla e gli ho detto” ciao”, si è girato per capire chi fosse ma non posso neanche dire se ha risposto con un “ciao” completo, perché è letteralmente scappatoi agitato. Sembrava un bambino impaurito. Dopo che io mi sono seduta, l’ ho visto tornare alla sua postazione al centro sala, proprio da dove era venuto, da qui non si capiva il suo andare verso il fondo quando io mi sono spostata per cercare posto. Da lontano lo vedevo lì al centro nervoso che si guardava intorno per capire dove fossi finita.In quel momento ho provato rabbia e delusione e ho pensato che manco l’educazione di base fosse pervenuta e come potesse avere difficoltà a dirmi ciao e come potesse fare finta di nulla. L’assurdità era che stessimo vivendo che avevamo vissuto mille volte insieme,come estranei. Una parte di me stava per piangere, voleva andare ad urlargli con rabbia come potesse avere quell’atteggiamento nei miei confronti, mi venne voglia di bloccarlo io dappertutto. La cosa che mi ferì e che lo vidi salutare un paio di persone con abbracci e sorrisi. Iniziai a cercare la calma in me, a ricordarmi che quegli atteggiamenti non mi appartengono e che non sarebbe servito arrabbiarsi.
Quindi ci fu l’ultima esibizione, quella che aspettavo da tutta la sera, e tornai avanti in prima fila dove ero stata tutta sera, e me lui avanzò pure a quel punto, mettendosi a due persone di distanza da me, con un atteggiamento divertito, riprendeva l’esibizione, cantava e ballava, nel paradosso più totale, a tratti sembrava volesse attirare la mia attenzione.
Le mie domande sono rivolte a questi atteggiamenti in presenza sua. Io stessa ho avuto ansia all'ipotesi di poterci incontrare, ma non ho mai pensato in questi incontri di mettermi a parlare di noi e della relazione, ma che avrei salutato con cortesia e al massimo scambiato qualche parola di circostanza.
Come devo leggere questo atteggiamento? sebbene è coerente con qualcuno che continua a evitarmi da mesi, perché non evitare i posti in cui posso esserci? seconda cosa mi evita perché pensa che mi debba delle risposte e non le ha? perché è combattuto?perché pensa che sono arrabbiata? Io dal canto mio sto cercando di evitare le situazioni a cui sento di poter rinunciare, ma non so se privarmi completamente dei miei interessi o viceversa agire alla prossima occasione con indifferenza totale anche se dovessimo essere vicini, negando qualsiasi saluto.
Alla serata ho pensato evitasse il saluto perché stesse provando a dimenticarmi. Ma quella stessa sera mia sorella che era altrove condivise qualcosa sui social e lui prontamente visualizzò i suoi social, senza vergogna. Per come lo conosco, in situazioni in cui non si sente di buon umore o c’è qualche problema tra noi due si vergogna di aver a che fare coi miei familiari o amici. Ad esempio se capitava di uscire insieme in queste situazioni, si raccomandava di non salire in casa ma di aspettarmi sotto casa per non incontrare nessuno. Non prova lo stesso timore nel visualizzare le cose di mia sorella sapendo che lei lo sa e può riferirmelo?sapendo che lei conosce la situazione tra noi due?
al tempo stesso ho pensato che tornata a casa da quella serata mi sarei trovata bloccata ovunque e invece no
So già che alcuni di voi mi diranno di pensare a me e non chiedermi cosa significhi tutto questo, non per questo non mi sto impegnando giornalmente la mia parte di vita.
Sento il bisogno di un parere da professionisti su questi atteggiamenti.
Infine, noto alcune differenze rispetto alla nostra rottura precedente. Questa volta mi ha offerto l'amicizia come soluzione e non mi ha bloccata sui social, cosa che in passato faceva immediatamente. Non so se questo indichi un’evoluzione in positivo in lui e semplicemente devo credere alla sua confusione e difficoltà “del momento”. È possibile che, dopo tre mesi, sia ancora spaventato, confuso e triggerato?