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Punteggio generale
Professionista preparata ed accogliente, mi sono sentita validata e compresa. Mi è piaciuto molto il suo approccio, perché permette di ragionare a fondo sui propri pensieri e malesseri.
Ho contattato la dott.ssa Ferrara per dopo aver provato altri percorsi psicoterapeutici che non mi hanno soddisfatto. Con lei mi sono trovata davvero bene. Mi sono sentita accolta, capita e sostenuta. Sono contenta di averla contattata e consiglio vivamente di rivolgersi a lei
Sono stato dalla Dott.ssa Ferrara che si è rivelata essere molto preparata e competente.
Mi ha ascoltato a lungo, aiutandomi nel processo psicologico e riuscendo a mettermi subito a mio agio.
Consiglio vivamente
La dottoressa Ferrara mi ha accolta con serietà e grande empatia, mettendomi subito a mio agio. Sono arrivata perché stavo affrontando un momento molto difficile della mia vita e la dottoressa ha saputo accompagnarmi in un percorso di cambiamento, aiutandomi a far emergere le mie risorse e valorizzandole sempre. Da questo percorso ho acquisito nuove importantissime consapevolezze su di me, sulle mie relazioni e sulla mie scelte.
ha risposto a 44 domande da parte di pazienti di MioDottore
FAMIGLIA STREMATA DA SORELLA BORDERLINE
Un saluto ai medici dello staff e grazie per il vostro servizio.
Sono un uomo di 43 anni e Vi scrivo per chiedervi, più che un consulto psicologico in quanto tale, un consulto psichiatrico/legale, su una situazione familiare stremata da mia sorella affetta da grave disturbo della personalità borderline, dove a breve si rischierà la tragedia. Mi scuso già da ora per la lunghezza.
La storia parte da lontano, siamo 3 fratelli, io di 43 anni , mia sorella Border di 38, e un'altra sorella di 30.
Quella di mezzo, la border, é da oltre 20 anni che rovina la vita a tutti.
Era "particolare" e viziata fin da bambina, poi la situazione é peggiorata dopo la morte di nostra madre nel 2002.
Da lì ha cominciato a soffrire di strane e violente crisi isteriche dove a volte può finire in stato di semi-coscienza, ricordano a vederle delle crisi epilettiche ma non hanno origine organica, sono state definite "disturbo di conversione".
Dopo la morte di nostra madre, abbiamo continuato a vivere con nostro padre e nostra nonna, con entrambi mia sorella ha sempre avuto un rapporto conflittuale, arrivando anche ad alzare le mani alla nonna.
Data la situazione sempre più insostenibile, su sua stessa richiesta le abbiamo comprato una casetta dove vivere da sola, salvo poi sentirci accusati di averla abbandonata.
É in cura, per modo di dire, presso il CIM della nostra città, ma va quando le pare e non assume le medicine che le prescrivono per paura di ingrassare.
Percepisce una pensione di invalidità, é diplomata e ha tentato di lavorare in passato, ma si é sempre fatta cacciare da tutti i posti di lavoro per rapporti conflittuali con capo e/o colleghi o tentati suicidi sul posto di lavoro stesso.
Sempre a proposito di tentati suicidi, non basterebbero le dita di un millepiedi per contare quanti ne ha fatti, uno per ogni fidanzato che la lasciava appena si accorgeva della sua pazzia. Alcune volte é stata ricoverata in regime di PS presso qualche reparto psichiatrico ospedaliero, ma, essendo giurudicamente ancora considerata capace di intendere e di volere , quando si scocciava, firmava e usciva.
Economicamente siamo ancora tutti noi ad aiutarla, così come cerchiamo di aiutarla per farla uscire e svagarsi un po', altro che dice che la abbandoniamo (lei non guida e non prende i mezzi sempre per il disturbo che ha, le mettono ansia entrambe le cose).
Nonostante ciò é una accusa continua, anche con minacce e gesti violenti auto ed etero-lesionisti. Ricordo una volta che voleva andare a un centro commerciale, avevamo tutti da fare e non potevamo accompagnarla (io ad esempio ero a lavoro) , le le fu proposto di uscire il giorno dopo, cominciò a spaccare tutto dentro casa, piatti, bicchieri, ecc, furono i vicini a chiamare l'ambulanza, e il personale sanitario ovviamente chiese il nostro intervento, in quanto sempre noi figuriamo come j familiari più stretti.
Mia sorella più piccola é stata lasciata di recente dal fidanzato per questa situazione,e ancora non ha un lavoro stabile, io ci ho rimesso pure una relazione e un lavoro.... perché il tempo dedicato ad assistere nostra sorella border é molto maggiore rispetto a quello che dedichiamo ai nostri partner, e sul lavoro i permessi che dovevo prendere erano troppi, e il mio titolare non mi rinnovò il contratto.
In tutto ciò lei, grazie alla sua malattia, si sente creditrice verso tutti, come se tutto le sia dovuto. Rifiuta di curarsi seriamente e lo psichiatra dice che se non vuole andare in comunità, nessuno può costringerla.
Ma a questo punto, cari dottori, perché dobbiamo sentirci costretti noi?
Nostro padre é anziano e ancora lavora nonostante sia in pensione, per mantenerla.
Io e l'altra mia sorella , pur aiutandola come possiamo, ormai la odiamo, e siamo arrivati a dirle anche frasi molto forti sul fatto (vero) che ci ha rovinato l'esistenza, e che quando morirà forse torneremo a nascere. Dovrei vergognarmi forse a dirlo, e forse ci considererete dei mostri, ma bisogna vivere quello che viviamo noi per capire cosa si prova.
Gli psichiatri la vedono una volta al mese, gli uomini con cui si relaziona, la abbandonano tutti perché non sa gestire una relazione, alla fine chi é rimasto in tutti questi anni, IN TRINCEA annullando la propria vita siamo noi, la famiglia, su cui sputa pure continuamente in faccia.
Per quale motivo se per la legge é capace di intendere e di volere , per noi deve restare un cancro che NON VUOLE FARSI CURARE ma vuole capitalizzare le attenzioni di tutti?
Non rispondete per cortesia di andare dallo psicologo per un aiuto perché dallo psicologo ci siamo già stati tutti noi altri familiari, ed é stato proprio lui a dirci di mollarla.
Ricordo la sua frase: "SE CI SONO ANCHE CIECHI CHE SONO IN GRADO DI VIVERE DA SOLI, PERCHÈ VOSTRA SORELLA NON DOVREBBE?"
Grazie.
Buongiorno, grazie per aver condiviso qui l'esperienza. Comprendo quanto questa situazione sia dolorosa e quanto vi sentiate sopraffatti. La condizione di vostra sorella, affetta da disturbo borderline di personalità, è complessa e caratterizzata da instabilità emotiva, difficoltà relazionali e comportamenti spesso manipolativi. Tuttavia, è importante ricordare che il suo dolore profondo non vi obbliga a sacrificare completamente le vostre vite. Lei è una persona adulta che può scegliere per se stessa, e talvolta proprio per la sua libertà di scelta potreste non essere d'accordo con le sue decisioni.
La sensazione di essere "in trincea" deriva dal portare un peso che va oltre ciò che una famiglia dovrebbe sopportare. Il diritto legale di vostra sorella a rifiutare le cure complica ulteriormente la situazione, ma esistono strumenti come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) o la possibilità di richiedere un’amministrazione di sostegno, se le sue decisioni mettono a rischio la sua sicurezza o quella degli altri. Anche l’inserimento in una comunità terapeutica potrebbe essere un’opzione da discutere con i servizi psichiatrici, anche se lei attualmente lo rifiuta. Rivolgetevi o contattate qualche specialista che l'ha seguita in passato o il suo medico di base se doveste vedere situazioni o se vostra sorella dovesse fare delle scelte oggettivamente pericolose per sè o gli altri (di natura economica, comportamentale ecc)
È fondamentale che proteggiate voi stessi stabilendo confini chiari. Non potete annullare le vostre vite per una persona che, nonostante la sofferenza, rifiuta di impegnarsi per migliorare. Avete già fatto moltissimo e non dovete sentirvi in colpa per decidere di limitare il vostro coinvolgimento. Continuate a cercare supporto esterno, come già state facendo, sia nei servizi sociali che in gruppi di familiari con esperienze simili, dove potrete trovare comprensione e consigli utili.
Buongiorno, buona domenica a tutti.
Mi chiamo Flavio, ho 52 anni, persona piuttosto introspettiva, metto me stesso in discussione quando ci sono delle turbolenze nei rapporti con qualcuno, cosa che per me non sempre fa bene perché gli altri non lo fanno o non sanno proprio farlo e vivono sereni.. io invece mi faccio tanti viaggi mentali. Da una parte l'introspezione la trovo una qualità, dall'altra penso che chi vive spesso dispiaciuto o con un senso di malumore interiore è solo il sottoscritto. Vabbè, tralasciando un attimo questa cosa, la richiesta che vorrei farvi arrivare riguarda sempre i rapporti (generici). Diverse volte mi sono sentito dire che non cerco mai gli altri (in realtà lo faccio con chi mi sta a genio e mi interesso anche delle loro vite o bisogni umani) che non me ne frego di nessuno, che non mi affeziono, che me la tiro, che mi voglio far desiderare, ma nella realtà quello che inconsciamente faccio è cercare gli altri quando noto che c'è piacere da parte loro. Forse questo in passato mi sono ritrovato immerso in un rapporto malato e senza volerlo (unica volta, mai accaduto prima), con una donna sposata letteralmente ossessionata da me, probabilmente proprio dalla mia apparente freddezza, la quale iniziò a -pretendere- (e il contesto non mi dava possibilità di respingerla con decisione, bensì limitarmi a gestirla) le mie attenzioni sotto forma di amicizia e quando molti mesi dopo ho iniziato a fidarmi perché sembrava veramente tenerci e quindi a restituirle le attenzioni nell'essere cercata (da parte mia sempre in amicizia), mi ha allontanato come si fa con un calzino puzzolente per passare ad un'altra persona e poi a un'altra ancora, isolandomi dalle conoscenze in comune a cui ha fatto credere subdolamente, mai verbalmente, che fossi stato io a infastidirla e che era stata costretta a trattarmi così, costringendomi a cambiare città e gruppo di conoscenze (eccetto le amicizie storiche), anche quei pochi che credevano a me non riuscivano a non farsi influenzare da lei e quindi ho -dovuto- , mio enorme malgrado, effettuare una pulizia relazionale ricevendo pure critiche e insulti da parte di alcuni di loro. Dunque, tornando a prima, quando vedo che c'è iniziativa dall'altra parte per stare assieme oppure se noto una certa alchimia caratteriale reciproca, in tal caso non ho problemi a farlo io il primo passo. Io lo trovo, ma posso sbagliami, un modo maturo e centrato di "innaffiare" i rapporti. Chi dice quelle cose è perché o hanno detto/fatto cose con me e con altri che non appartengono alla mia mentalità, o hanno dimostrato ad esempio omertà/ambiguità ferendomi (tipo quelli descritti prima) o queli che sono eccessivamente critici con chiunque per sentirsi importanti loro e allora tendo a stargli lontano, o desiderebbero sotto sotto un mio passo verso di loro senza impegnarsi loro, insomma chi si ferma alla copertina senza provare a comprenderne il motivo o chiedersi (come faccio io con gli altri) il perché ci si comporta così, senza scavare insomma. Chi invece non si ferma alle apparenze e non si fa condizionare dal mio comportamento, scopre una persona profonda, gentilissima, col piacere di stare in compagnia, molto affettuosa, che restituisce abbondantemente tutta la benevolenza ricevuta, partecipando attivamente alla ricerca reciproca. Fatto sta che queste persone sono rare, difatti nella mia vita non sono mai stato l'amico di tutti, piuttosto molto selettivo e circondato da poche persone, anzi il mio migliore amico (e viceversa) che conosco da 35 anni, è il mio opposto, amico di tutti, fregato da alcuni di loro, ammettendo che dovrebbe essere più selettivo ma non vi riesce. Poiché caratterialmente lui riesce più facilmente a passarci su alle cattiverie ricevute (un po' come mio padre), mentre io le interiorizzo per più tempo procurandomi dispiacere interiore, probabilmente attuo (senza pentirmene) un modus relazionale più restrittivo. Non credendo di essere una rarità, una eccellenza di nulla, parto dal presupposto che ogni essere umano potrebbe essere un attimo più empatico e non fermarsi alla copertina se dall'altra parte trova iniziale freddezza, e quindi subisco le critiche descritte prima e mi fermo a riflettere, restando praticamente più isolato rispetto ad altro che invece sfruttano anche i rapporti meno autentici e di passaggio, effimeri, per credere di essere felici. Sono ultra consapevole che posso modificare me e non il comportamento altrui.. ma quindi come fare per trovare quel maggiore equilibrio che mi dia più consapevolezza e meno delusioni?
Buongiorno Flavio, la ringrazio per la condivisione della sua storia. Lei sottolinea una grande capacità di introspezione che è un grande punto di forza, ma può diventare un peso quando si trasforma in eccessivi "viaggi mentali" o in un rimuginio che finisce per portare all’isolamento. Riflettere sui propri comportamenti è utile ma è importante non entrare in un vortice di pensieri che diventano una trappola. Quando si trovi a rivivere episodi o a cercare spiegazioni, provi a chiedersi se quel pensiero la sta aiutando a crescere o se la sta bloccando.
Un altro aspetto importante è accettare che non tutti condividono la tua capacità di introspezione o il tuo approccio selettivo alle relazioni. Non sempre le persone pensano ed agiscono come noi o come ci aspettiamo, accettarlo ci porta a minore frustrazione. Le pretese sono sempre fonte di sofferenza. Allo stesso tempo, è fondamentale stabilire confini chiari nelle relazioni, soprattutto per proteggersi da situazioni difficili come quella che ha vissuto in passato. Quando crea nuove relazioni dia il tempo agli altri di mostrarsi per quello che sono realmente senza aspettarsi determinati criteri all’inizio. La volontà di essere selettivo nei rapporti interpersonali è una forza, ma cerchi di vedere se questo fatto è guidato dalla paura di essere deluso. La solitudine può essere una scelta consapevole e non un isolamento.
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