Dott.
Giorgio Conti
Psicoterapeuta,
Psicologo
Professional counselor
Altro
San Salvo 1 indirizzo
Esperienze
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I servizi che offro si rivolgono alla consulenza, la terapia, al sostegno psicologico, l'accompagnamento alla genitorialità.
Svolgo sia percorsi brevi che sedute online.
L'approccio che utilizzo si rivolge alla salute e alla relazioni che instesse la persona, più che allo specifico della patologia e del sintomo: fobie e ansia, disturbi alimentari, dipendenza, rappresentano gli ambiti con cui mi rapporto più di frequente. Tuttavia ho seguito e seguo pazienti con diagnosi psichiatriche, collaborando con medici e psichiatri.
Nel mio approccio curare significa prendersi cura: ascoltare le parole, accogliere e dar voce alle emozioni.
Restituire valore e significato all'esperienza della persona è un passaggio essenziale al processo di guarigione.
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Psicoterapia di coppia • 60 €
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Pazienti senza assicurazione sanitaria
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3 recensioni
Punteggio generale
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MP
Mi sono trovata bene con il Dottore. Consiglio a tutti di poterci parlare
Alessandra D'Itri
Mi sono sentita ascoltata ed alcune sue parole, a distanza di anni, le ricordo ancora, prendendone forza in determinate situazioni.
LDG
Ho trovato una persona attenta e competente. Parlare con il Dott. Conti mi ha permesso di avere sempre una prospettiva nuova e più completa
Risposte ai pazienti
ha risposto a 39 domande da parte di pazienti di MioDottore
Buongiorno, ho 31 anni, sono una donna e da circa 10 anni soffro di disturbo di ansia con periodi alternati. Da 4 anni ho iniziato una psicoterapia, ma è da 1 anno circa che sono arrivata a capire il perché della mia ansia. A 18 ho lasciato casa e mi sono trasferita all'estero, lasciando tutta la famiglia. Infatti, poco prima di partire ho avuto il mio primo attacco di panico mentre stavo per addormentarmi. Da allora la mia vita non è più la stessa, vivo con la paura di poter morire per un attacco di cuore (i miei sintomi si concentrano quasi sempre a livello di cuore, tachicardia, dolore al petto ecc.).
Insieme alla mia terapeuta abbiamo capito che la mia ansia dipende da una forte simbiosi emotiva con la mia famiglia di origine, soprattutto con mia madre. In qualche modo cerco di stare male e di sentirmi in pericolo per sentirmi vicina a loro e per "tornare bambina" indifesa. È come se essere felice e spensierata senza di loro fosse un torto da parte mia... Sono felicemente sposata, vorrei crearmi una famiglia ma in queste condizioni non me la sento di diventare madre. Non mi sento autonoma, spesso ho paura di rimanere sola o di uscire senza nessuno.
La mia domanda è: avendo capito che di tratta di una simbiosi emotiva che ho praticamente dall'infanzia, sarà mai possibile "spezzarla"? Grazie a chi risponderà.
Salve. Come mai tra tante parole sceglie "spezzarla"? Probabilmente la bambina che è in lei cerca disperatamente qualcosa. Questo in qualche modo ha potuto vagliarlo di ragione. Tuttavia è difficile impedire questa ricerca perché con molta probabilità proseguirà finché non avrà trovato qualcosa di abbastanza soddisfacente. Se ora ha una "mappa" potrebbe valorizzarla, se lo vuole, per raggiungere quel qualcosa di cui parla. Quando lo avrà raggiunto non potrà più uscire senza nessuno, perché avrà trovato la sua stessa compagnia. Ma per raggiungerlo può far affidamento alla sua terapia. Cosa manca lì per cui chiede qui?
Gentili Dottori,
Avevo scritto già tempo fa riguardo alla mia depressione e al sentimento che nutro per la specialista che mi segue. Avevo ricevuto da alcuni di voi risposte molto gentili, espresse con grande professionalità.
Io soffro di depressione maggiore da quasi 5 anni, scatenata da un problema lavorativo, mi ha poi travolto sotto ogni aspetto. Sono in cura con Anafranil presso il CSM di riferimento. Sono seguita da una psichiatra e da una psicologa. Una volta al mese circa. Per cui con la psicoterapeuta quando ci vediamo, difficilmente riprendiamo il filo del discorso. In realtà affrontiamo ciò che è successo nel mese..
Ripeto, le due specialiste si conoscono bene. Il lavoro oltretutto è d'equipe. Purtroppo oltre alla patologia, devo combattere con un sentimento molto forte che provo per la mia psichiatra. Sono ormai quattro anni. So che mi capirete, almeno voi. All'inizio abbiamo pensato al transfert. Ma è un sentimento diverso, forte e tenero. Provo spesso a dirmi che è immotivato, che la conosco superficialmente e non so niente di lei. Ma questo non è poi così strano. L'amore e l'attrazione nascono spesso così. Sono sposata, ho due figlie, ma è nato, verso una donna, senza sapere perché. È una questione chimica. Ogni volta mi emoziona sentire la sua voce da lontano, vederla passare. Vorrei solo abbracciarla, vorrei la sua amicizia, vorrei anche solo che mi parlasse come a una persona normale, non come alla "pazza di turno", paziente del centro.
Bene, una paio di anni fa ho chiesto e ottenuto di cambiare specialista. Volevo chiudere con questo sentimento "sbagliato". Ma essendo lo stesso csm comunque la vedevo. E alla fine mi mancava anche solo quell'ora ogni tanto in cui avevo il privilegio di parlare con lei. Così ho fatto finché non ho ripreso i colloqui con lei. Che comunque sono sempre professionali, niente di più. Sono molto molto timida.
Lei comunque lo sa. Gliel'ho fatto capire, mi ha risposto che è sbagliato, impossibile, che ci sono delle regole. Ma lo so bene!! È che non posso farci nulla..
Come da vostro suggerimento ne ho parlato alla terapeuta. La quale invece di prenderlo come spunto, ha tagliato corto dicendo le testuali parole: è sbagliato, è come se si fosse innamorata di un sacerdote. Non si può nemmeno pensare.
Come se fosse un abominio, come se fosse incestuoso, come se avessi detto un'eresia. Come se volesse "proteggere" la collega (molto più giovane di lei che ha 65 anni) da chissà quale male immondo. È solo affetto, sincero affetto. E non mi colpevolizzo più di tanto.
Allora mi sono chiesta se l'unica soluzione sia allontanarmi definitivamente da quel csm sperando mi accettino presso un altro centro per continuare ad essere seguita.
Purtroppo non mi sento in colpa (di quello no, di tutto il resto sì), è un sentimento vero, forte, resistente, dolce.
Questo si aggiunge al peso terribile della depressione la quale invece non genera altro che pensieri di morte.
Ovviamente non si può chiedere affetto a chi non ne prova.
Sarebbe meglio non vederla più, vero?
Ringrazio per l'attenzione, chiedo scusa se ho scritto sciocchezze.
Salve. Quel sentimento di cui parla (sicuramente dipende dai riferimenti teorici attraverso cui lo si osserva) forse potrebbe essere proprio quel famoso transfer. Un sentimento dolce di affetto, che nelle primissime trattazioni veniva descritto proprio come qualcosa di inaccettabile, inopportuno: niente altro che un inutile ostacolo e una resistenza da rimuovere. Molti approcci lo considerano (chiamandolo con vari nomi) proprio così. La questione tuttavia è come mai questo sentimento venga sollecitato dalla psichiatra (che a questo punto immagino medico specialista e non psicoterapeuta) e non dalla psicologa, la persona con cui in teoria si dovrebbe parlare delle proprie vicende più intime e affettive. Questo "amore", perché alla luce dell'affettività adulta è difficile dargli un altro nome anche se forse parla di qualcosa molto antecedente all'acquisizione della sessualità, sembra impossibile. Non perché glielo abbiano detto, ma per come lei lo intende e lo vive: ciò che le hanno detto non fa che rinforzare questa posizione. Per cui l'unica relazione che non ingenera pensieri di morte è meglio che muoia. In altre parole sembra accettare e condividere la possibilità che questo suo affetto, vivo e autentico, non possa essere espresso. Ma c'è una parte di lei che denuncia tutto ciò come "un'ingiustizia": lei vorrebbe poter lasciar vivere questa relazione che si specchia nella persona della psichiatra. Lo dice: non si sente in colpa per ciò che prova! Queste sono parole bellissime. Ma è una tragedia leggere la sua domanda conclusiva. Come se una parte di lei fosse così abituata a essere lasciata, abbandonata, rifiutata, tanto da rifiutare a sua volta, ritrovandosi terribilmente sola, in difficoltà, e tremendamente arrabbiata. Non ceda, la prego, a questa tentazione di riscattare il passato nel presente, perpetuando il passato. Non metta a tacere la forza che sente in lei: forse è il frutto di questi lunghi anni di terapia. Se non è corrisposta ne parli con la sua terapeuta, con la psichiatra se vuole, e cambi terapeuta se sente di non trovare corrispondenza. Sicuramente per accogliere il portato di ciò che qui esprime, una seduta al mese è davvero molto poco e non le permette di fare altro che cercare di rifare il punto. Non si può chiedere affetto a chi non ne prova, è verissimo. Come non si può versare il contenuto di una bottiglia in un solo bicchiere. Ma di questo affetto, di questo "contenuto" in cerca di un buon contenitore, cosa sente che ne vuol fare?
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