Francesco Petrino

Svelare la propria identità e descrivere il proprio carattere è forse uno dei compiti più ardui e complessi su cui cimentarsi, a meno che non ci si voglia limitare a descrivere il proprio percorso di studi, gli attestati conseguiti o i corsi frequentati, ma a mio parere tutto ciò risulterebbe asettico e impersonale. Condivisi con un mio paziente queste riflessione e la mia difficoltà a rispondere alla domanda “chi sono?” e poco dopo esserci separati ricevetti un messaggio di cui pubblico una parte:

Lo raccontava il vento, quel nostro fulgido incontro tra le cime. Ci si incrociò come rami di quercia. Io salivo e lui scendeva, almeno a me così sembrò. Un cenno e poco più come saluto, ma le iridi si incagliarono e si dispersero. Pozze antiche le sue che sussurravano verità. Gli sbarrai la strada come un orchidea tra il ciottolato di un vecchio Borgo dissi “Non so chi sono!” Rispose con un sorriso “Indicami qualcuno che lo sappia…”

Non so di preciso cosa intenda il mio paziente, dall’indubbia abilità poetica e narrativa, tuttavia ho interpretato il mistero di questa prosa come se la domanda su ciò che si è sia destinata a rimanere sempre aperta e, al contempo, che la risposta a ciò che si è può palesarsi solamente dall’incontro con gli altri o con la vita.
Il testo continua dicendo:

Sei quel che sei, nel fluente presente che intangibile lo ricordiamo il secondo successivo. Lo aneliamo nel secondo precedente. Non domandarti chi sei, sii esclusivamente te.

E allora forse solamente da un incontro può emergere quello che non può essere detto a parole.