Valutare la personalità in ambito clinico e forense

Esperto Rebecca Silvia RossiPsicologia • 9 gennaio 2017 • Commenti:

Quando si effettua una valutazione della personalità è necessario che sia il più possibile oggettiva e comprensibile, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto forense.

Nessun focus di osservazione è sufficiente per comprendere le componenti multidimensionali che concorrono nel modellare la struttura del carattere e della personalità.

Per questo, se non ci fossero indici condivisi a cui fare riferimento, ciascun clinico ricorrerebbe a definizioni soggettive e personali, in cui la sua stessa persona avrebbe un’influenza preponderante sul giudizio finale.

I diversi modi per valutare la personalità

I modi per valutare la personalità e i suoi disturbi sono suddivisibili in:

  • colloquio clinico;

  • test di personalità;

  • interviste cliniche strutturate o semi-strutturate.

La modalità più adeguata si sceglierà a seconda delle esigenze del caso, dato che così come ogni individuo presenta caratteristiche peculiari, anche i metodi e le tecniche di indagine psicodiagnostica variano da caso a caso.

Infatti, è diverso indagare sulla personalità di un professionista in crisi sul lavoro, di un adolescente con ritardo mentale, di un accusato per omicidio o di una coppia in crisi.

Tuttavia, si può a grandi linee delineare un percorso comune, che vede come punti essenziali del procedimento diagnostico i seguenti:

  1. eventuale esame medico fisiologico e neurologico per verificare se le eventuali anormalità del soggetto sono a base organica;

  2. studio della storia personale del soggetto (anamnesi) per conoscere quegli avvenimenti che possono avere contribuito al costituirsi della sua organizzazione mentale e all’instaurarsi di problematiche possibilmente legate al motivo dell’esame diagnostico;

  3. colloquio diagnostico per riuscire a formulare ipotesi sulla personalità complessiva del soggetto, partendo dalle problematiche che lo hanno condotto fino alla consultazione;

  4. eventuale applicazione e valutazione di test per verificare le ipotesi diagnostiche formulate durante il colloquio. Un’eventuale convergenza tra risultati ottenuti ai test e dati emersi dal colloquio permetterà di passare dall’ipotesi diagnostica alla diagnosi di personalità. I test sono suddivisibili in:

  • questionari autosomministrati, dove il soggetto fornisce le informazioni compilando una lista standardizzata di domande;

  • interviste cliniche, nelle quali è il clinico a rivolgere le domande al soggetto, domande che possono seguire o meno un preciso schema di intervista;

  • checklist e rating scale, ovvero scale di valutazione che presentano elenchi di sintomi e comportamenti, compilabili da amici o familiari o dal clinico stesso, di ausilio nel prendere decisioni diagnostiche;

  • tecniche proiettive, nelle quali il soggetto si sottopone a prove con lo scopo di rilevare gli aspetti inconsci della sua personalità.

Questi strumenti possono essere considerati momenti complementari del processo diagnostico dei disturbi di personalità, anche se spesso possono non concordare nella valutazione di essi.

È quindi opportuno scegliere di volta in volta lo strumento più rispondente alle necessità specifiche del caso in questione ed evitare di utilizzare senza occhio critico diverse informazioni diagnostiche.

La valutazione della personalità in sede giudiziaria

Dopo aver brevemente presentato le modalità con cui è possibile venire a conoscenza delle dinamiche proprie della personalità degli individui, è bene rapportarle al contesto forense.

Infatti, la valutazione della personalità in sede giudiziaria presenta delle caratteristiche diverse da quella in sede clinica, dato che il contesto nella quale esaminato ed esaminatore si trovano ad interagire presenta una serie di peculiarità che lo differenziano dalla situazione clinica standard:

  • in sede peritale è quasi sempre presente l’interesse di chi è valutato ad ottenere un determinato risultato;

  • la certezza delle conclusioni a cui perviene l’esaminatore deve essere più elevata di quella necessaria in sede clinica, dati i particolari risvolti a cui essa può portare;

  • in ambito forense bisogna che tutti i partecipanti al processo diagnostico siano nelle condizioni di confrontare i dati emersi dalla valutazione;

  • strutturazione del setting, che vedrà più facilmente interferenze rispetto a quello clinico. Nei contesti forensi, infatti, non è possibile scegliere l’ambiente più favorevole per svolgere la valutazione, né utilizzare agevolmente le regole di somministrazione standardizzate previste dalla maggioranza dei test.

Il numero di test realmente utilizzato in tale contesto è piuttosto limitato: MMPI-2, MCMI e Rorschach per la valutazione di personalità, WAIS-R per il livello intellettivo, nessuno dei quali tuttavia è stato validato per quanto concerne gli aspetti forensi, dato che sono stati pensati per scopi distinti da una valutazione sulla capacità di intendere e volere.

Qualsiasi test si decida di usare, comunque, dovrebbe essere valutato in base ai criteri di attendibilità, validità, contaminazione di dati, resistenza alla simulazione. Per quanto riguarda la realtà concreta, però, ad oggi di tangibile e certo esiste solo confusione.

Infatti, non esistono fonti né di natura giuridica né psicologica che forniscano elementi utili a comprendere quali siano i limiti di utilizzo di test in ambito forense.

Altro importante aspetto della valutazione di personalità in ambito forense è la strutturazione del setting, che vedrà più facilmente interferenze rispetto a quello clinico.

Nei contesti forensi, infatti, non sarà possibile scegliere l’ambiente più favorevole per svolgere la valutazione, né utilizzare agevolmente le regole di somministrazione standardizzate previste dalla maggioranza dei test.

La valutazione vera e propria in ambito giudiziario: utilizzo e limiti

Una volta scelto quale strumento utilizzare e capito le differenze che il contesto forense porta con sé rispetto al contesto clinico, si passa a valutare la personalità.

É bene ricordare che i test da soli non possono dire nulla riguardo al funzionamento di un individuo: è necessario integrare vari aspetti della valutazione per poter arrivare ad ottenere una visione globale della persona che abbiamo davanti.

Infatti, i test riusciranno magari a dire che cosa è successo, senza mai arrivare a spiegare il perché è successo.

Per poter rispondere a tale quesito, si deve integrare alla classificazione dell’eventuale patologia del periziando la comprensione del suo funzionamento: classificare e comprendere sono due elementi imprescindibili di una buona indagine psichiatrico forense.

Con la classificazione si riesce infatti a collocare l’individuo in una data categoria; è quindi un aspetto metodologico importante, utile per rispondere ai quesiti che il magistrato pone ma insufficiente per capire le motivazioni che hanno spinto l’individuo a compiere un determinato atto.

Per questo lo si deve integrare alla dimensione del comprendere, che privilegia l’ascolto del soggetto da esaminare, per cogliere i suoi vissuti e desumere il suo funzionamento.

L’ascolto partecipe implicato nella comprensione è la premessa a un corretto inquadramento diagnostico.

Si può quindi affermare che il comprendere è la parte dinamica della perizia, che conferisce significato alla diagnosi, mentre il classificare è la parte statica, ciò che cerca di ordinare il disordine.

Esperto

Rebecca Silvia Rossi psicologo, psicoterapeuta, psicologo clinico Dott.ssa

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