La terapia cognitivo-comportamentale: che cos'è l'ACT
Esperto Caterina Alice Stisi • Psicoterapia • 6 luglio 2016 • Commenti:
Che cos'è l'Acceptance and Commitment Therapy (ACT)
L’Acceptance and Commitment Therapy, o ACT (“ACT” si pronuncia come singola parola, non come lettere separate) è una nuova forma di psicoterapia, con solide basi scientifiche, e fa parte di quella che viene definita la “terza onda” della terapia cognitivo comportamentale (Hayes, 2004).
L’ACT è basata sulla Relational Frame Theory (RFT): un programma di ricerca di base sulle modalità di funzionamento della mente umana (Hayes, Barnes-Holmes, e Roche, 2001).
Questa suggerisce che molti degli strumenti che le persone utilizzano per risolvere i problemi, conducono in una trappola che crea sofferenza.
L’ACT prende in considerazione alcuni concetti non convenzionali:
-
La sofferenza psicologica è normale, ed accompagna ogni persona.Non è possibile sbarazzarsi di essa volontariamente, anche se si possono prendere provvedimenti per evitare d’incrementarla artificialmente;
-
Il dolore e la sofferenza sono due differenti stati dell’essere;
-
Non bisogna identificarsi con la propria sofferenza;
-
Iniziando da ora, si può vivere una vita basata sui propri valori ma per farlo si deve imparare a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita.
In definitiva, ciò che viene richiesto dall’ACT è un fondamentale mutamento di prospettiva: uno spostamento nel modo in cui viene considerata la propria esperienza personale.
I metodi di cui si avvale forniscono nuove modalità per affrontare le difficoltà di natura psicologica e cercano di cambiare l’essenza dei problemi psicologici e l’impatto che essi hanno sulla vita.
Acceptance and Commitment Therapy: i 3 punti fondamentali
Mindfulness
È un modo per osservare la propria esperienza che, per secoli, è stato praticato in oriente attraverso varie forme di meditazione. Alcune ricerche recenti nella psicologia occidentale, hanno dimostrato che praticare la mindfulness può avere importanti benefici psicologici (Hayes, Follette, & Linehan, 2004).
Tali tecniche permettono di imparare a guardare al proprio dolore, piuttosto che vedere il mondo attraverso di esso; inoltre, permette di comprendere quante altre cose da fare ci siano nel momento presente, oltre a cercare di regolare i propri contenuti psicologici.
Accettazione
Si basa sulla nozione che, di norma, tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo, intrappolandosi ancora di più in esso e trasformando l’esperienza in qualcosa di traumatico.
L’ACT opera una chiara distinzione tra dolore e sofferenza. Per la natura del linguaggio umano, quando ci si trova di fronte ad un problema, la tendenza generale è di capire come attaccarlo.
Capire come liberarci dagli eventi indesiderati (come predatori, freddo, inondazioni) è sempre stato un fattore essenziale per la sopravvivenza della razza umana; tuttavia il tentativo di usare questa stessa organizzazione mentale dinanzi alle proprie esperienze interne non funziona.
Infatti, quando si verifica un evento interno doloroso si tende a fare ciò che si fa normalmente: organizzarlo e risolverlo per sbarazzarsene.
In realtà le esperienze interne non sono uguali agli eventi esterni e i metodi per cercare di eliminarle non funzionano.
Deve essere chiaro che l’accettazione, come viene intesa in questo contesto, non è un atteggiamento nichilistico auto-distruttivo; né un tollerare il proprio dolore, o il sopportarlo, ma è un vitale e consapevole contatto con la propria esperienza.
Impegno e vita basata sui valori
Quando si è coinvolti nella lotta contro i problemi psicologici spesso si mette la vita in attesa, credendo che il proprio dolore debba diminuire, prima di iniziare nuovamente a vivere. L’ACT invita a uscire dalla propria mente intraprendendo azioni impegnate in direzione di quelli che sono i propri valori.
Nello specifico le terapie di terza generazione si occupano della relazione con le proprie esperienze interne.
Spesso gli esseri umani tendono ad identificarsi con i propri pensieri e le proprie emozioni trasformandoli in fatti concreti, il che conduce inevitabilmente al desiderio che quelle stesse esperienze interne siano un qualcosa di diverso da quello che in realtà sono e a volerle eliminare.
L’evitamento esperienziale è la conseguenza di questo atteggiamento di fusione e l’adozione di strategie cognitive e comportamentali volte a cambiare la forma o la frequenza di queste esperienze interne.
Cosi accade che gli individui, nel tentativo di evitare esperienze interne negative, rinuncino a impegnarsi in azioni finalizzate a perseguire i valori e gli obiettivi personali. Queste restrizioni comportamentali sono spesso automatiche e inconsapevoli e giocano un ruolo fondamentale nel perpetuare il disagio psicologico.
Le terapie di terza generazione insegnano abilità psicologiche di gestione efficace dei pensieri e dei sentimenti dolorosi in modo che questi abbiano meno impatto nella nostra vita (mindfulness) visto che non li possiamo eliminare. Inoltre ci aiutano a chiarire cosa è veramente importante per noi (valori) e ad utilizzarli per dirigere il nostro comportamento intraprendendo azioni impegnate allo scopo (commitment).
Il punto focale di queste terapie è la flessibilità psicologica cioè l’abilità di stare nel qui ed ora (momento presente) in maniera consapevole e aperta all’esperienza e fare ciò che conta per noi nella vita.