Il ruolo dello psicologo nella relazione terapeutica
Esperto Rebecca Silvia Rossi • Psicologia, Psicoterapia • 15 novembre 2016 • Commenti:
Nei primi anni dalla sua nascita e per molti a venire, la psicoanalisi classica (la psicoanalisi di Freud dalla quale prendiamo radici) ammoniva i terapeuti riguardo alla relazione nella stanza di analisi. La relazione veniva vista come pericolosa, come qualcosa di incontrollabile. Per questo, l’analista doveva rimanere il più neutrale possibile (da qui la pratica del lettino).
In psicoanalisi della relazione, invece, la relazione tra analista e paziente è vista in prospettiva diversa, viene presa in considerazione in quanto tale, non dalla parte dell’analista e da quella del paziente in modo distinto.
Psicoanalisi della relazione - analista e paziente in relazione
Questo è possibile partendo dal fatto che analista e paziente sono due sistemi in relazione tra loro, ognuno con una propria storia, una propria organizzazione e una propria evoluzione. Proprio a causa di - o grazie a - questo relazionarsi, dopo un po’ di tempo dall’inizio del rapporto analitico si inizia a percepire la regolazione interattiva tra le due parti, ossia il fatto che un comportamento è (anche) risultato dell’incidenza dell’altro.
Nella pratica clinica si “co-costruisce” il significato della relazione, afferendo anche - e soprattutto - da quello che accade nel qui ed ora della seduta analitica. Si passa dal ruolo neutrale dell’analista alla sua attività, intesa come partecipazione all’interno della seduta.
Costruire una relazione con il paziente ed evolvere all’interno di essa
Questa modalità di interazione analitica è estremamente in contraddizione con gli albori della pratica clinica, nei quali “il dottore dovrebbe essere impenetrabile per il paziente e, come uno specchio, non mostrare nulla di sé ma riflettere ciò che gli viene mostrato” *. Significa stare con il paziente, avendo coscienza dei propri punti di vista così come del fatto che questi possono essere molto lontani dai propri, rimanendo comunque accettabili. Significa avere chiaro che ognuno ha in mano il proprio destino e che non si è detentori del sapere in quanto investiti di un certo ruolo, avere chiaro che il paziente è in grado di assumere la sua vita ed indirizzarla a partire da sé e che si è lì per aiutarlo in questo percorso. Significa, inoltre, essere consapevoli che la relazione è tra due persone, che entrambe queste persone la influenzano e ne sono influenzate.
Pertanto, il terapeuta deve essere capace di essere dentro la relazione, co-evolvere con essa, ma nel frattempo osservare ciò che accade, usando le sue competenze per darvi significato, con il contributo del paziente: l’interazione è infatti il principale strumento del processo terapeutico.
Si parte dal presupposto epistemico che ciascuna persona è un sistema complesso in grado di auto-organizzarsi, tenendo in considerazione il ruolo attivo del soggetto nell’evoluzione del proprio modo di essere. Seguendo questa logica, il paziente che arriva nel nostro studio, sarà probabilmente statico, bloccato in questa auto-organizzazione, auto-limitante il proprio pensiero e la propria vita cosicché compito del terapeuta è proporgli complessità, cercando insieme soluzioni alternative all’attuale.
In questa singolare relazione che è la relazione analitica, vi sono dei modi in cui il paziente coglie la soggettività dell’analista. Uno di essi è la self-disclosure, ossia l’esplicitazione da parte dell’analista di una sua esperienza, vissuta all’interno della situazione analitica, che si contrappone alla percezione che il paziente ha dello stesso momento. È una scelta che l’analista fa di utilizzare propri vissuti per analizzare quelli del paziente nei confronti della sua soggettività (dell’analista). Così si può interpretare assieme quello che per la psicoanalisi classica sono transfert e controtransfert, in un clima di trasparenza e collaborazione.
In questo modo, si viene a creare nel processo analitico una nuova condizione di indagine e di scoperta, si libera l’analista dalla presunta neutralità rendendo esplicito l’aspetto costruttivo (o meglio, co-costruttivo) del lavoro terapeutico. La self-disclosure è una modalità di stare nella relazione molto importante, poiché poter sperimentare un confronto sincero e alla pari costituisce non è solo un modo di esperire la “cura” ma un’alternativa con la quale vedere sé stessi ed il mondo.
Il rapporto paziente-analista non è una relazione a “senso unico”
Quanto appena menzionato suggerisce ancora una volta che:
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il rapporto paziente-analista non è a senso unico;
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l’osservatore è presente con tutta la sua soggettività nella situazione osservata;
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la relazione analitica è interazione di due soggettività;
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l’analisi è curativa solamente quando si affaccia su un disvelamento dell’interazione paziente-analista.
Ovviamente, per poter mantenere la propria professionalità e non perdersi nella dimensione relazionale dell’analisi, è necessario seguire un metodo, vale a dire essere consapevoli del modo con cui si utilizza la propria teoria di riferimento. In assenza di metodo si rischierebbe di essere trasportati dal susseguirsi degli eventi, così come di nascondersi dietro gli assunti teorici. La teoria di riferimento è ovviamente importante, ma più importante è la consapevolezza di esserne influenzati e l’abilità di tenerla in considerazione per non lasciarvisi troppo influenzare. Teoria e metodo sono strettamente collegati, essendo la teoria il legame che forma il metodo unendo varie tecniche, dove con tecnica si intende lo strumento operativo utilizzato nella pratica clinica, dipendente da teoria e metodo nella sua specificità.
Paziente e analista sono ugualmente partecipi, senza nascondersi
Si è passati da “una relazione pensata a senso unico dal paziente all’analista a una relazione pensata come interazione dove entrambi sono coinvolti e partecipi”, con la consapevolezza che la relazione analitica dà la possibilità di “sperimentare una relazione dove sia possibile essere ed esprimersi per come si è, senza doversi nascondere dietro un ruolo o un compito. Forse può diventare possibile essere aiutati e aiutarsi ad intuire che la vita è apertura, nonostante lo sforzo e la fatica che questo comporta” **.
* Freud, S. (1912), Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, pag.539, OFS, vol VI,Ed. It. Boringhieri
** Minolli, M. (2009), Psicoanalisi della relazione, pag. 189-190, Franco Angeli