Il paradosso dell'attacco di panico: chi ne soffre tenta la riconciliazione con la Natura

Esperto Luca OpertoPsicoterapia • 26 aprile 2016 • Commenti:

Il Dio Pan

La parola Panico deriva dalla mitologia greca e precisamente si rifà al Dio Pan, essere a metà tra uomo e caprone, spirito di tutte le creature viventi in Natura, che viveva nelle foreste e che inseguiva le ninfe, mettendo loro paura.

Abile nel travestimento, si presentava all’improvviso, incutendo terrore. Non potendolo riconoscere, se non dopo la sua apparizione, non era possibile sottrarsi ai suoi incontri.

Così come arrivava, altrettanto repentinamente scompariva, lasciando le vittime dei suoi incontri in uno stato d’ansia e d’inquietudine, con la paura di poterlo rincontrare in qualsiasi momento.

L’attacco di panico, al pari di una visita di Pan, è una paura incontrollata ed ingestibile nel momento in cui la si sperimenta, che compare improvvisamente, senza una causa apparente e che mette la persona nell’impossibilità di reagire. Tremolio, aumento del battito cardiaco, senso di soffocamento, paura di morire o di diventare pazzi, sono i segnali più frequenti.

Nonostante l’intensità di queste sensazioni, non accade realmente nulla di tutto questo, non si muore, non si impazzisce e si perde il controllo solo per la durata dell’attacco. Sparito il panico, rimane un senso d’inquietudine e di ansia generalizzata, per la paura che un simile evento possa ripresentarsi, senza la possibilità per chi ne soffre, di poterlo in alcun modo prevedere.

L’attacco di panico di configura proprio come un attacco del dio Pan.

Il terrore di poter nuovamente esperire un’esperienza simile, porta chi soffre di attacchi di panico, a mettere in atto condotte di evitamento e ad isolarsi, nella speranza di non incorrere nuovamente un una situazione analoga.

Si tendono così ad evitare luoghi e circostanze specifiche in cui si teme possa annidarsi il dio Pan, così come ci si evitano le relazioni con persone estranee, che potrebbero celare il dio, sotto mentite spoglie.

Abbiamo detto che il dio Pan rappresenta l’istinto e lo spirito delle creature naturali, è lecito pertanto chiedersi se ciò che si sperimenta durante un attacco di panico non abbia dunque a che fare con la paura di queste forze e di queste pulsioni, connaturate dentro di noi, in quanto esseri viventi in Natura, ma delle quali non abbiamo più consapevolezza, non riuscendo più a contattarle ed a riconoscerle come parti integranti di noi.

L’attacco di panico non è comprensibile in termini di causa-effetto, almeno non su di un piano razionale e cognitivo.

La sua immediata incomprensibilità, disorienta, sconvolge e spiazza chi ne soffre, inducendo spesso come unica reazione, il tentativo di scacciarlo definitivamente, agendo sul sintomo, attraverso condotte di evitemanto, farmaci, percorsi terapeutici, perdendo così la possibilità di stare in modo consapevole all’interno della situazione che l’ha generato, per coglierne l’essenza creativa e gli aspetti d’innovazione e cambiamento, di cui l’attacco di panico sembrerebbe essere portatore.

All’interno del mondo occidentale si è registrata negli ultimi anni una sempre maggiore incidenza del fenomeno. Soffermandoci sul modello di società all’interno della quale noi tutti viviamo, possiamo notare che le spinte ad uniformarsi a modelli precostituiti ed accettati aprioristicamente, sia sempre più forte e più subdola.

Società odierna e consumismo: terreno fertile per gli attacchi del Dio Pan

Viviamo in un mondo fatto di modelli preconfezionati, con poche possibilità di selezionare e di interpretare ciò che ci viene proposto, con la conseguenza che spesso l’unica alternativa è l’accettazione e quindi la continua perpetuazione del sistema di riferimento.

La richiesta generale, sempre più insistente, va nella direzione di una sempre maggiore efficienza e produttività, che permea ogni aspetto dell’esistenza.

La spinta compulsiva allo sviluppo produttivo senza regole e controlli, genera una necessità sempre maggiore di nuovi prodotti di consumo, che rimpiazzino ciò che è stato consumato. L’atto del consumo non è più conseguenza di un bisogno reale, ma è il consumo stesso a diventare bisogno primario.

Viviamo in una società orientata al consumismo estremo, in cui sono considerate normali ed accettabili solo le condotte che permettano il mantenimento di questo sistema.

Sperimentare alternative sostenibili, che si discostino dal paradigma dominate, diventa automaticamente una minaccia ed un pericolo da eliminare o quanto meno da isolare, come capita nel caso della malattia mentale.

Il lavoro, al centro della nostra identità di esseri umani, è diventato il cardine del sistema. La maggior parte della forza lavoro dei paesi occidentali, a qualsiasi livello, trascorre la propria vita lavorativa, impegnata in attività con alto livello di stress, di spersonalizzazione e di routine, senza avere spesso una visione a lungo termine del proprio operato, che possa dare un significato più ampio e nutriente agli sforzi profusi.

La logica dominante e spesso unica, pare essere soltanto quella finalizzata all’ottimizzazione dei sistemi produttivi ed all’aumento dei profitti, restituendo in cambio soltanto una maggiore possibilità di accesso ai consumi.

Procedere su questa via conduce a perdere completamente di vista l’individuo e le sue potenzialità, come essere umano, allontanando sempre di più, la possibilità e la speranza di una vita in armonia ed equilibrio con la Natura, dentro e fuori di noi.

Il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno… Esso logora straordinariamente una gran quantità d'energia nervosa e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all'amare, all'odiare.” (Friedrich Nietzsche)

In un contesto simile, dove la distanza tra mente e corpo è sempre più marcata, il dio Pan si ripresenta all’improvviso, con l’unica modalità espressiva di cui sia capace, sorprendendo le persone, annullando i loro abituali punti di riferimento, portandole al punto di credere di morire o di impazzire.

Sotto questa prospettiva, l’attacco di panico può essere visto come un’estemporanea scossa alla quotidianità e all’alienazione dell’esistenza, che (ri)conduce in maniera improvvisa e drammatica a dimensioni dimenticate e terrifiche, portando con sé una forte intenzionalità di contatto con quelle parti di noi intimamente connesse alla Natura, di cui siamo ancora parte.

L’attacco di panico è portatore di un messaggio di disperata solitudine ma contiene anche un segnale di speranza, talmente forte quanto immediatamente incomprensibile, veicolato attraverso un registro criptico ed impenetrabile, che suscita un’immediata reazione di intensa angoscia.

Eppure chi soffre e manifesta il sintomo, è in qualche modo una persona che protesta, che insorge contro l’alienazione, pur nella confusione e nel senso di disfatta.

Chi soffre di attacchi di panico sta tentando, nel paradosso del terror panico, di contattare quella parte profonda di sé che non vuole rinunciare al sentimento panico, linfa vitale dell’armonia del rapporto tra gli esseri umani e la natura.

Il dio Pan ne era la concretizzazione vivente: e tutto il mondo oggi ne avverte la nostalgia ed il terrore”

(Rasicci Luciana – L’epoca del panico – CLUEB 2011 pag. 10)

Il dramma contenuto nell’attacco di panico ci riporta in maniera diretta ed immediata al fallimento di un modello sociale, politico ed economico, pur avendo in sé la potenzialità del cambiamento e del suo superamento, possibile solo attraverso il riconoscimento e l’accettazione delle nostre debolezze e fragilità.

Accettare i propri limiti e ricontattare la Natura

Per essere in grado di cogliere il potenziale di trasformazione insito nell’attacco di panico è necessario superare l’esperienza di vuoto e di solitudine ad esso connessa.

Diventa fondamentale ridiscutere e riconsiderare la natura e l’origine dei propri bisogni e di ciò che ci spinge ad agire, con l’obiettivo di liberarsi degli introietti sociali, che condizionano e pregiudicano quotidianamente il nostro benessere.

Il riconoscimento e l’accettazione dei nostri limiti e delle nostre debolezze sono alla base della possibile sperimentazione di una reale alternativa sostenibile, in cui ci siano tempo e spazio per il silenzio, l’ascolto, la lentezza, il recupero di ritmi in armonia con quelli della Natura e di conseguenza, la rinuncia all’affannosa ricerca di sempre nuovi stimoli.

La capacità di abbandonarsi e di stare all’interno dell’attuale campo sociale, tanto incerto quanto complesso ed indefinito, da cui emergono nuovi bisogni di costruire legami sociali, che consentano i necessari processi di identificazione e differenziazione, indispensabili affinché si creino appartenenze sufficientemente solide e flessibili, in grado di sostenere nelle difficoltà, è il presupposto a un incontro creativo tra l’organismo e l’ambiente, che favorisca il contatto con le nostre componenti arcaiche istintuali, che ci legano intimamente e profondamente alla Natura, di cui siamo ancora parte.

Esperto

Luca Operto psicoterapeuta, psicologo, psicologo clinico Dott.

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