Condizione sociale e malattia mentale

Esperto Ivana NanniniPsicoterapia • 20 dicembre 2016 • Commenti:

Vorrei qui di seguito esporre alcune considerazioni in merito ad una questione che mi sembra  sempre di grande importanza e che ritorna ancor più ad esserlo in questo periodo di crisi sociale ed economica: quella della malattia mentale e dei luoghi di cura e custodia per chi soffre di tali patologie, connessi alla alla condizione sociale, anagrafica ed economica di tali pazienti.

I manicomi: luoghi di custodia, di cura e di esclusione

Partendo dalla nascita dei manicomi, orribili luoghi di custodia e anche di cura, vediamo subito che è sempre esistita una  strettissima relazione fra la condizione sociale dei pazienti e il loro ricovero, spesso coatto (non volontario), ma anche volontario. Orribili luoghi che non erano però nati né stati progettati col fine specifico di segregare, ma di curare; e se ne studiarono varie tipologie,vari modelli architettonici, fra cui diversi anche in Italia oltre in Francia e Germania.

La questione peraltro è che quei luoghi di cura (ricordo un bel convegno: “I luoghi delle cure”, che si tenne  a Torino qualche anno fa) divennero, per motivi storico-sociali, sempre più caratterizzati dalla custodia, che certo faceva parte della cura, considerando che la pericolosità sociale del malato era ritenuta una caratteristica specifica della patologia, per cui occorreva proteggere il sociale (il mondo, la gente, il contesto famigliare etc), così come impedire al malato di causare danno o di causarne a se stesso.

Ma la dimensione del pericolo sociale che il malato rappresentava ha subito certamente l’influenza dei vari periodi storici e degli avvenimenti che li caratterizzarono. Ci furono periodi di grande repressione sociale, per cui “pericoloso” poteva diventare chiunque manifestasse atteggiamenti o condotte che potevano essere definiti antisociali, cioè contrari alla “norma vigente”.

Era infatti pericoloso chiunque si discostasse troppo o comunque abbastanza dalla norma che veniva individuata come tale, dalle forze politiche che sul sociale avevano controllo.

Il controllo sociale, infatti, esiste ed è sempre esistito, mentre il concetto di norma ha subito varie trasformazioni. Basterebbe considerare la questione omosessuale, che ha trovato finalmente una risposta anche istituzionale come unione riconosciuta, per  comprendere quanto si sia trasformata la concezione di norma. Ma questo non è che un esempio, anche se ben evidente.

All’inizio dell’apertura dei manicomi e della loro costruzione, venivano ricoverati con molta facilità i “disturbatori 2 del decoro pubblico, i poveracci senza risorse, i vagabondi, i questuanti, al punto che la maggior parte dei degenti finivano con l’essere appartenenti alle classi sociali svantaggiate.

Emarginazione, controllo sociale, povertà e malattia mentale

Così anche le donne che non riuscivano a conservare il ruolo famigliare che veniva loro assegnato, o che  dovevano lavorare,e in epoca in cui il lavoro era mal visto per le donne e anche equiparato alla prostituzione, finivano col diventare soggetti emarginati e poveri, e malate di mente.

Vero è che non tutte le povere erano malate di mente, ma quello che desidero sottolineare è proprio la relazione stretta fra qualità della vita e rischio di finire in qualche manicomio.

A questo va aggiunto il livello d’istruzione, in quanto meno i soggetti erano istruiti, maggiore era il rischio di cadere in condizione di marginalità.

Esistevano statistiche che definivano la malattia mentale del soggetto in relazione alla sua condizione familiare e sociale e si costruirono persino le tipologie fisiche del delinquente. A ciò si aggiunsero anche le persecuzioni religiose e politiche.

I pazienti dei manicomi erano una folla che progressivamente veniva più custodita che curata e ancora negli anni 70 si assisteva  a scene terrificanti nei reparti, dove il personale , costretto a vivere a contatto con soggetti  così custoditi e malati,  non tardava a usare metodi crudeli verso quelle sofferenze.

In epoche recenti sono tornate alla ribalta, tramite i nuovi mezzi di informazione, immagini dei manicomi giudiziari che han fatto inorridire per la sporcizia, e la disumanità con cui i pazienti erano costretti a vivere.

Non solo i manicomi: qualunque luogo di cura può trasformarsi in “luogo di custodia”

Tuttavia, abbiamo in mente anche altre immagini di luoghi di cura, inizialmente nati come tali, ma divenuti centri di custodia  per anziani, in cui questi poveri sofferenti erano maltrattati al punto tale da far scattare inchieste e condanne.

Spesso i centri per anziani sono diventati veri luoghi di custodia, perché per molti individui al giorno d’oggi, appena superata la fascia d’età produttiva, divengono automaticamente parte di un mondo a  margine, che interessa solo fino a un certo punto, anche se il numero delle nascite è in calo e ci troviamo con una popolazione che tende ad essere costituita da anziani, cioè non produttivi e a rischio di varie patologie, perché con l’età che avanza il rischio di patologia, ovviamente, aumenta.

La crisi economica e sociale odierna e i nuovi rischi per chi ne è rimasto coinvolto

Ma oggi come oggi,  esiste un rischio patologia anche proprio psichiatrica , per tutta una fascia di popolazione che vecchia non è di certo, ma si trova in una condizione di grande precarietà economica e sociale.

Quanti negozi hanno chiuso, quante aziende, quante fabbriche, quanti mutui sono finiti a rischio… e si trattava  e si tratta di persone che hanno perso il lavoro o comunque si trovano in precarietà crescente.  Famiglie che sono state costrette a modificare il modo di vere e la qualità della vita, fino a livelli di povertà anche grave.

Come possiamo immaginare che queste persone, magari con figli a carico, non siano andate incontro quantomeno a depressione, quando non a vero sconforto? Qualcuno, addirittura, ha anche scelto di farla finita.

So di persone che hanno lavorato solo pochi mesi in due anni, persone che  si sono trasferite, sono migrate, sperando in una vita migliore e si trovano oggi  senza una loro casa in cui vivere, senza la certezza di un reddito anche minimo, senza prospettiva insomma, persone giovani e  meno giovani.

Persone che per forza di cose si trovano esposte a maggiore rischio di malattia sia fisica che mentale, anche corpo e mente non possono essere disgiunti.

Dunque, che risposta dare a soggetti così esposti e privi di una prospettiva reale, per cui la progettualità di vita è così diminuita? Sono davvero dei “marginali “, là dove cominciano a rappresentare una grande fascia della popolazione?

La crisi della famiglia e del ruolo parentale

Per non dire delle ripercussioni che  queste trasformazioni sociali hanno sui ruoli parentali; che già erano in crisi. Un padre o una madre, senza prospettive e senza un reddito decente, difficilmente riescono a rappresentare un modello valido cui fare riferimento,e difficilmente potranno trasmettere forza ed entusiasmo.

Pertanto ,e concludo, oggi che la risposta alla malattia mentale è per fortuna molto trasformata, si corre il rischio di diventare prescrittori di farmaci che aiutino un poco il soggetto a restare in  piedi, come dire,a non lasciarsi sprofondare nella depressione o nella disperazione.

So di persone che pur lavorando, erano sottoposte a spostamenti continui,e a turnazioni talmente pesanti, che una volta usciti dal lavoro, non restava che dormire  e riposarsi, per poter lavorare il giorno seguente.  Va da sé che la famiglia ne risente, che le relazioni e i ruoli vanno incontro a crisi e frammentazione.

La mancanza di progettualità come ulteriore rischio per la salute psico-fisica

In un contesto simile, non si può  negare che la condizione sociale ed economica determina a sua volta un contesto di sicurezza-insicurezza a seconda delle condizioni di vita.

Per vivere, occorre avere una qualche base economica e progettuale.

Dunque se pure non è automatico che un disoccupato vada fuori di testa o diventi gravemente depresso o altro, è pur vero che la dimensione di insicurezza e aprogettualità, perché progettare sarebbe quasi impossibile, gettano le basi di una grande rischio di morbilità, sia fisica che psichica. Per non dire di coloro che forse, raggiunta una certa età, non avranno di come affrontare la vecchiaia.

È dunque un momento assai critico, in cui la fragilità dei soggetti  è maggiore, in quanto  sembra scomparire la stabilità e dunque la tranquillità quella anche minima, che consente di avere una vita dignitosa.

Dunque la dimensione economico sociale gioca un ruolo fondamentale nelle condizioni di salute dei soggetti, toccando sia la salute fisica che, appunto mentale. E di questo occorre tenere ben conto.

Esperto

Ivana Nannini psichiatra, psicoterapeuta Dott.ssa

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