Salve, mi sono ridotta a scrivervi perché sto vivendo un momento molto difficile e non so come gesti
16
risposte
Salve, mi sono ridotta a scrivervi perché sto vivendo un momento molto difficile e non so come gestire ciò che provo.
Soffro di un disturbo del comportamento alimentare e sono seguita da una psicologa da tempo. Recentemente, la dottoressa ha preparato una relazione clinica destinata agli psichiatri che mi seguono. Quando me l’ha letta, mi sono sentita devastata: il modo in cui mi ha descritta mi è sembrato freddo, distante e poco rispettoso della complessità di ciò che provo. Alcuni dettagli estremamente intimi – inclusi aspetti della mia vita personale che non credo abbiano attinenza con il mio DCA – sono stati inclusi senza alcuna delicatezza, e questo mi ha fatto sentire esposta e travisata. Lavoro con le parole, so come si usano, comprendo razionalmente che è un testo redatto per fini clinici, allo stesso tempo quell'enumerazione asettica delle mie mancanze depauperate dallo sforzo sovrumano che ho dovuto fare, ad oltre 30 anni, per portarle lì è stato un frontale terrificante.
Ho chiesto di poter avere copia della relazione, per rifletterci con calma e prepararmi ad affrontare il confronto con gli psichiatri, sempre perché sono un'adulta che vorrebbe presentarsi al mondo con un po" di grazia e credibilità e non essere vista o descritta come un cucciolo di panda, ma lei si è rifiutata di darmela, sostenendo che fosse “per la mia tutela”, mostrandomi ancora una volta di attenersi di certo aglii studi che deve aver svolto scrupolosamente, ma tralasciando il rapporto umano e una conoscenza di me che, con ogni evidenza, non ha. Da tre giorni non faccio altro che piangere e vomitare. Gli attacchi di panico sono continui, e mi sento completamente sola, senza nessuno con cui parlare di ciò che sto provando (non ho un confidente vero da quando ho memoria). Nemmeno con lei: non risponde ai miei messaggi, e, pur capendo il confine professionale, mi sento "ghostata" in un momento in cui avrei un bisogno disperato di supporto.
Non voglio apparire agli psichiatri come lei mi ha descritta in quella relazione, ma al tempo stesso non riesco a trovare le forze per affrontare questa situazione, non vorrei ritirarmi dal progetto di cura, ma sento di doverlo fare per non umiliarmi di fronte agli psichiatri che mi hanno già presentato la prossima visita come un esame di sbattamento. Ogni giorno è sempre più pesante, e mi sembra di non avere strumenti per gestire il dolore, la rabbia e la solitudine che mi stanno schiacciando. Ho preso anche più farmaci del dovuto, una cosa che tendo a fare e che confidato alla dottoressa, che ha sbattuto nella relazione senza alcun tatto, mettendomi alla berlina di fronte ai miei curanti. Come mi posso comportare con la mia psicologa? Lei non fa un passo, perché devo fare sempre tutto io? E con gli psichiatri del progetto dca?
Soffro di un disturbo del comportamento alimentare e sono seguita da una psicologa da tempo. Recentemente, la dottoressa ha preparato una relazione clinica destinata agli psichiatri che mi seguono. Quando me l’ha letta, mi sono sentita devastata: il modo in cui mi ha descritta mi è sembrato freddo, distante e poco rispettoso della complessità di ciò che provo. Alcuni dettagli estremamente intimi – inclusi aspetti della mia vita personale che non credo abbiano attinenza con il mio DCA – sono stati inclusi senza alcuna delicatezza, e questo mi ha fatto sentire esposta e travisata. Lavoro con le parole, so come si usano, comprendo razionalmente che è un testo redatto per fini clinici, allo stesso tempo quell'enumerazione asettica delle mie mancanze depauperate dallo sforzo sovrumano che ho dovuto fare, ad oltre 30 anni, per portarle lì è stato un frontale terrificante.
Ho chiesto di poter avere copia della relazione, per rifletterci con calma e prepararmi ad affrontare il confronto con gli psichiatri, sempre perché sono un'adulta che vorrebbe presentarsi al mondo con un po" di grazia e credibilità e non essere vista o descritta come un cucciolo di panda, ma lei si è rifiutata di darmela, sostenendo che fosse “per la mia tutela”, mostrandomi ancora una volta di attenersi di certo aglii studi che deve aver svolto scrupolosamente, ma tralasciando il rapporto umano e una conoscenza di me che, con ogni evidenza, non ha. Da tre giorni non faccio altro che piangere e vomitare. Gli attacchi di panico sono continui, e mi sento completamente sola, senza nessuno con cui parlare di ciò che sto provando (non ho un confidente vero da quando ho memoria). Nemmeno con lei: non risponde ai miei messaggi, e, pur capendo il confine professionale, mi sento "ghostata" in un momento in cui avrei un bisogno disperato di supporto.
Non voglio apparire agli psichiatri come lei mi ha descritta in quella relazione, ma al tempo stesso non riesco a trovare le forze per affrontare questa situazione, non vorrei ritirarmi dal progetto di cura, ma sento di doverlo fare per non umiliarmi di fronte agli psichiatri che mi hanno già presentato la prossima visita come un esame di sbattamento. Ogni giorno è sempre più pesante, e mi sembra di non avere strumenti per gestire il dolore, la rabbia e la solitudine che mi stanno schiacciando. Ho preso anche più farmaci del dovuto, una cosa che tendo a fare e che confidato alla dottoressa, che ha sbattuto nella relazione senza alcun tatto, mettendomi alla berlina di fronte ai miei curanti. Come mi posso comportare con la mia psicologa? Lei non fa un passo, perché devo fare sempre tutto io? E con gli psichiatri del progetto dca?
Buonasera, la situazione che descrive è comprensibilmente molto dolorosa, e mi dispiace sapere che si sente così sopraffatta. Vorrei offrirle qualche riflessione e suggerimento per affrontare al meglio questo momento complesso, mantenendo al centro il suo benessere.
Il senso di tradimento o incomprensione che emerge dal racconto è significativo. È possibile che il linguaggio clinico utilizzato nella relazione sia stato percepito come distante e freddo, ma tenga presente che, in contesti di documentazione per altri specialisti, quel registro può essere considerato una prassi. Questo, però, non giustifica l’effetto che ha avuto su di lei né l’assenza di un supporto adeguato in un momento di tale vulnerabilità.
Le consiglierei di provare a esprimere questi sentimenti alla sua psicologa, magari in un contesto in cui possa sentirsi più sicura, evitando sicuramente toni accusatori, ma descrivendo come si è sentita quando ha letto la relazione e cosa ha significato per lei non avere accesso al documento. Può far presente che, nonostante comprenda il confine professionale, avrebbe bisogno di maggiore supporto per gestire la situazione. Comunicare con chiarezza i suoi bisogni potrebbe aprire un dialogo costruttivo anche ai fini del rapporto che può instaurare con gli psichiatri.
Nondimeno, è importante riconoscere il lavoro enorme che sta facendo per affrontare il suo DCA. non si colpevolizzi per sentirsi vulnerabile. La vulnerabilità non annulla i suoi progressi, anzi, è parte integrante di ogni percorso di crescita.
Se avesse necessità, resto comunque a disposizione.
Cordiali Saluti
Dott.ssa Annalisa Calabrese
Il senso di tradimento o incomprensione che emerge dal racconto è significativo. È possibile che il linguaggio clinico utilizzato nella relazione sia stato percepito come distante e freddo, ma tenga presente che, in contesti di documentazione per altri specialisti, quel registro può essere considerato una prassi. Questo, però, non giustifica l’effetto che ha avuto su di lei né l’assenza di un supporto adeguato in un momento di tale vulnerabilità.
Le consiglierei di provare a esprimere questi sentimenti alla sua psicologa, magari in un contesto in cui possa sentirsi più sicura, evitando sicuramente toni accusatori, ma descrivendo come si è sentita quando ha letto la relazione e cosa ha significato per lei non avere accesso al documento. Può far presente che, nonostante comprenda il confine professionale, avrebbe bisogno di maggiore supporto per gestire la situazione. Comunicare con chiarezza i suoi bisogni potrebbe aprire un dialogo costruttivo anche ai fini del rapporto che può instaurare con gli psichiatri.
Nondimeno, è importante riconoscere il lavoro enorme che sta facendo per affrontare il suo DCA. non si colpevolizzi per sentirsi vulnerabile. La vulnerabilità non annulla i suoi progressi, anzi, è parte integrante di ogni percorso di crescita.
Se avesse necessità, resto comunque a disposizione.
Cordiali Saluti
Dott.ssa Annalisa Calabrese
Risolvi i tuoi dubbi grazie alla consulenza online
Se hai bisogno del consiglio di uno specialista, prenota una consulenza online. Otterrai risposte senza muoverti da casa.
Mostra risultati Come funziona?
Salve, si ricordi che lei non dovrebbe voler fare bella o brutta figura, per cui un conto è leggere una relazione, un conto è parlare durante un colloquio. Probabilomente parte del suo stupore sta nell'aver letto cose emerse durante i colloqui. Non voglio soffermarmi qua sulla relazione in sè, che può lasciare il tempo che trova, e dovrebbe essere, tra l'altro, la fotografia di un momento, ma sarebbe importante per lei riflettere sulle sue reazioni, ciò che la porta a vergognarsi di fronte alle persone che di fatto cercano di aiutarla.
Gentilissima Utente, quanta sofferenza traspare dalla Sua richiesta. Ed è sempre molto difficile riuscire a supportarvi come si vorrebbe, non conoscendo la Vostra storia. Dispiace anche per la rottura del rapporto con la sua terapeuta. La Sua apprensione nell’essere "presentata" ad un team di cura in una modalità che non sente consona alla sua persona è più che comprensibile, ma, si ricordi che si tratta di professionisti e, pertanto, non si fermeranno ad una semplice relazione scritta, bensì andranno ben oltre per comprendere appieno chi è Lei, le sue difficoltà e fragilità, ma anche le sue qualità e, soprattutto, risorse. E dal suo scritto di queste ultime ne emergono molte, quindi, riacquisti fiducia in sé stessa, si ricordi di tutte quelle prove che sicuramente ha già affrontato e superato! Le auguro di poter trovare un’équipe che l’accolga e la sappia sostenere nel SUO progetto. Cordialmente. Dott.ssa Pirazzini
Buonasera, visto che si sente profondamente ferita, travisata e sola, vorrei riconoscerle la forza che ha dimostrato scrivendo queste parole, nonostante il dolore che sta attraversando.
La relazione clinica è uno strumento tecnico, e spesso i suoi contenuti possono apparire asettici, focalizzati sui sintomi o sulle difficoltà, trascurando lo sforzo umano e il percorso che lei ha intrapreso. È comprensibile che questo stile la faccia sentire ridotta a una lista di problemi, senza che venga riconosciuta la sua complessità e la sua capacità di resistere e lavorare su se stessa. Questo può essere particolarmente devastante per chi, come lei, sta affrontando un percorso così impegnativo.
Per quanto riguarda la sua psicologa, potrebbe essere utile, quando si sentirà pronta, cercare di comunicarle quanto si è sentita colpita da questa esperienza. Non è facile, soprattutto quando si percepisce un distacco o una mancanza di empatia, ma farle sapere come si è sentita potrebbe essere il primo passo per ristabilire una connessione.
La sua psicologa potrebbe non essersi resa conto dell’impatto emotivo che la relazione ha avuto su di lei, e un confronto potrebbe aiutarla a comprendere meglio le sue necessità.
Con gli psichiatri del progetto DCA sarebbe importante che lei abbia voce in capitolo sul modo in cui viene presentata. Anche se non ha accesso alla relazione, può prepararsi per l’incontro scrivendo una sua versione di ciò che sente sia importante condividere. Questo non solo le permetterà di sentirsi più preparata, ma potrebbe anche aiutarla a riprendere un po' di controllo sulla narrazione del suo percorso.
Potrebbe considerare, ad esempio, di contattare un servizio di emergenza psicologica, anche solo per avere un supporto momentaneo. Inoltre, potrebbe cercare di prendersi piccoli momenti di cura per sé stessa, anche quando sembra impossibile: ascoltare musica che le piace, scrivere quello che prova, o semplicemente permettersi di respirare senza giudicarsi per quello che sta vivendo.
Le auguro di trovare il modo per affrontare questo momento difficile con il rispetto e la dignità che merita.
La relazione clinica è uno strumento tecnico, e spesso i suoi contenuti possono apparire asettici, focalizzati sui sintomi o sulle difficoltà, trascurando lo sforzo umano e il percorso che lei ha intrapreso. È comprensibile che questo stile la faccia sentire ridotta a una lista di problemi, senza che venga riconosciuta la sua complessità e la sua capacità di resistere e lavorare su se stessa. Questo può essere particolarmente devastante per chi, come lei, sta affrontando un percorso così impegnativo.
Per quanto riguarda la sua psicologa, potrebbe essere utile, quando si sentirà pronta, cercare di comunicarle quanto si è sentita colpita da questa esperienza. Non è facile, soprattutto quando si percepisce un distacco o una mancanza di empatia, ma farle sapere come si è sentita potrebbe essere il primo passo per ristabilire una connessione.
La sua psicologa potrebbe non essersi resa conto dell’impatto emotivo che la relazione ha avuto su di lei, e un confronto potrebbe aiutarla a comprendere meglio le sue necessità.
Con gli psichiatri del progetto DCA sarebbe importante che lei abbia voce in capitolo sul modo in cui viene presentata. Anche se non ha accesso alla relazione, può prepararsi per l’incontro scrivendo una sua versione di ciò che sente sia importante condividere. Questo non solo le permetterà di sentirsi più preparata, ma potrebbe anche aiutarla a riprendere un po' di controllo sulla narrazione del suo percorso.
Potrebbe considerare, ad esempio, di contattare un servizio di emergenza psicologica, anche solo per avere un supporto momentaneo. Inoltre, potrebbe cercare di prendersi piccoli momenti di cura per sé stessa, anche quando sembra impossibile: ascoltare musica che le piace, scrivere quello che prova, o semplicemente permettersi di respirare senza giudicarsi per quello che sta vivendo.
Le auguro di trovare il modo per affrontare questo momento difficile con il rispetto e la dignità che merita.
Salve,
grazie per aver condiviso una parte così delicata del suo vissuto. È evidente che sta affrontando un momento estremamente complesso, e voglio riconoscere il coraggio che ha avuto nell'esprimere quello che prova. È normale sentirsi sopraffatti da situazioni come quella che descrive, soprattutto quando ci si sente esposti e fraintesi.
Riguardo alla relazione clinica, è comprensibile che il tono e il contenuto l'abbiano ferita, specialmente se non si sente rappresentata con accuratezza o rispetto per gli sforzi fatti. Le relazioni cliniche hanno lo scopo di fornire informazioni utili agli altri professionisti coinvolti, ma ciò non giustifica un linguaggio che non tenga conto dell’umanità di chi è in cura. È legittimo desiderare che il proprio percorso venga narrato con maggiore empatia e che il contesto delle proprie difficoltà sia rappresentato con sensibilità.
Per quanto riguarda il rapporto con la sua psicologa, potrebbe essere utile affrontare con lei il suo vissuto in merito alla relazione. Le propongo di chiedere un momento di confronto diretto, magari durante una seduta, per esprimere le sue emozioni e chiarire come si è sentita. Potrebbe dire qualcosa come:
"Mi sono sentita molto vulnerabile leggendo la relazione e ho percepito che non ha riflesso il modo in cui mi vedo o i progressi che sento di aver fatto. Vorrei aiuto per sentirmi meglio rappresentata e meno esposta davanti agli psichiatri."
In merito agli psichiatri del progetto DCA, potrebbe essere utile prepararsi al prossimo incontro con il supporto di qualcuno di fiducia (anche un altro professionista, se necessario) che possa aiutarla a trovare un equilibrio tra il condividere le sue difficoltà e mantenere una comunicazione che rispecchi i suoi sforzi e progressi. È importante ricordare che il loro obiettivo è aiutarla, non giudicarla, anche se comprendo come il contesto possa far sentire diversamente.
Infine, vorrei incoraggiarla a non isolarsi in questo momento. Se si sente "ghostata" dalla psicologa o non riesce a contare su di lei come vorrebbe, potrebbe valutare di confrontarsi con un altro professionista, anche solo per un’opinione esterna che la faccia sentire ascoltata. Nessuno dovrebbe affrontare tutto da solo.
Sono qui per continuare a parlare con lei, se lo desidera.
Nunzio Nasti
grazie per aver condiviso una parte così delicata del suo vissuto. È evidente che sta affrontando un momento estremamente complesso, e voglio riconoscere il coraggio che ha avuto nell'esprimere quello che prova. È normale sentirsi sopraffatti da situazioni come quella che descrive, soprattutto quando ci si sente esposti e fraintesi.
Riguardo alla relazione clinica, è comprensibile che il tono e il contenuto l'abbiano ferita, specialmente se non si sente rappresentata con accuratezza o rispetto per gli sforzi fatti. Le relazioni cliniche hanno lo scopo di fornire informazioni utili agli altri professionisti coinvolti, ma ciò non giustifica un linguaggio che non tenga conto dell’umanità di chi è in cura. È legittimo desiderare che il proprio percorso venga narrato con maggiore empatia e che il contesto delle proprie difficoltà sia rappresentato con sensibilità.
Per quanto riguarda il rapporto con la sua psicologa, potrebbe essere utile affrontare con lei il suo vissuto in merito alla relazione. Le propongo di chiedere un momento di confronto diretto, magari durante una seduta, per esprimere le sue emozioni e chiarire come si è sentita. Potrebbe dire qualcosa come:
"Mi sono sentita molto vulnerabile leggendo la relazione e ho percepito che non ha riflesso il modo in cui mi vedo o i progressi che sento di aver fatto. Vorrei aiuto per sentirmi meglio rappresentata e meno esposta davanti agli psichiatri."
In merito agli psichiatri del progetto DCA, potrebbe essere utile prepararsi al prossimo incontro con il supporto di qualcuno di fiducia (anche un altro professionista, se necessario) che possa aiutarla a trovare un equilibrio tra il condividere le sue difficoltà e mantenere una comunicazione che rispecchi i suoi sforzi e progressi. È importante ricordare che il loro obiettivo è aiutarla, non giudicarla, anche se comprendo come il contesto possa far sentire diversamente.
Infine, vorrei incoraggiarla a non isolarsi in questo momento. Se si sente "ghostata" dalla psicologa o non riesce a contare su di lei come vorrebbe, potrebbe valutare di confrontarsi con un altro professionista, anche solo per un’opinione esterna che la faccia sentire ascoltata. Nessuno dovrebbe affrontare tutto da solo.
Sono qui per continuare a parlare con lei, se lo desidera.
Nunzio Nasti
Buongiorno,
per quanto possa essere difficile la sua situazione emotiva del momento, la invito ad affidarsi agli specialisti e alle cure. La psicologa che ha preso in carico il suo caso ha a cuore i suoi miglioramenti e la sua guarigione e qualunque cosa credo la stia facendo nella tutela della sua integrità e del suo benessere. Non lasci la psicoterapia e accolga con amore l intervento degli psichiatri che si occuperanno principalmente di cura e non di dare un giudizio finale alla sua storia.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
per quanto possa essere difficile la sua situazione emotiva del momento, la invito ad affidarsi agli specialisti e alle cure. La psicologa che ha preso in carico il suo caso ha a cuore i suoi miglioramenti e la sua guarigione e qualunque cosa credo la stia facendo nella tutela della sua integrità e del suo benessere. Non lasci la psicoterapia e accolga con amore l intervento degli psichiatri che si occuperanno principalmente di cura e non di dare un giudizio finale alla sua storia.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
Salve, mi spiace per questa davvero sconveniente situazione. Partiamo dall'inizio:
la relazione clinica, si definisce clinica per questo. Deve essere descrittiva e molto dettagliata (sintomi, o caratteristiche di personalità che non hanno a che fare con la sua patologia sono comunque utili per una cura farmacologica, inoltre, lei è una psicoterapeuta? ne è certa che certe caratteristiche descritte dalla dottoressa siano davvero non inerenti alla sua patologia di disturbo alimentare?). Devo però dire, che noi lavoriamo con la psiche delle persone, ad anche una relazione può essere scientifica ma rispettosa del dolore altrui. Perciò se l'ha ferita avrà le sue buone ragione. Passiamo al punto 2: ha le sue buone ragioni, bene, queste ragioni si discutono, analizzano, estrapolano in terapia. Sono sicura che la sua terapeuta avrà anch'essa buone ragioni per aver scritto cosa ha scritto. Si fi di della professionista alla quale ha deciso di affidarsi per così tanto tempo. Parlatene in seduta. Un caro abbraccio.
la relazione clinica, si definisce clinica per questo. Deve essere descrittiva e molto dettagliata (sintomi, o caratteristiche di personalità che non hanno a che fare con la sua patologia sono comunque utili per una cura farmacologica, inoltre, lei è una psicoterapeuta? ne è certa che certe caratteristiche descritte dalla dottoressa siano davvero non inerenti alla sua patologia di disturbo alimentare?). Devo però dire, che noi lavoriamo con la psiche delle persone, ad anche una relazione può essere scientifica ma rispettosa del dolore altrui. Perciò se l'ha ferita avrà le sue buone ragione. Passiamo al punto 2: ha le sue buone ragioni, bene, queste ragioni si discutono, analizzano, estrapolano in terapia. Sono sicura che la sua terapeuta avrà anch'essa buone ragioni per aver scritto cosa ha scritto. Si fi di della professionista alla quale ha deciso di affidarsi per così tanto tempo. Parlatene in seduta. Un caro abbraccio.
Salve,
mi dispiace profondamente per il dolore che sta vivendo. La situazione che descrive riflette non solo la difficoltà del percorso di cura per un disturbo del comportamento alimentare, ma anche il peso emotivo di sentirsi travisata o poco compresa da chi dovrebbe aiutarla.
È importante ricordare che la relazione clinica, per quanto possa sembrare distaccata e fredda, è uno strumento professionale redatto per orientare il lavoro degli psichiatri e non rappresenta un giudizio su di lei come persona. Tuttavia, il modo in cui questa è stata condivisa con lei ha evidentemente generato ulteriore sofferenza, e questo merita attenzione e rispetto.
Riguardo al confronto con la sua psicologa, potrebbe essere utile provare a esprimere i suoi sentimenti in modo chiaro e diretto, in un momento di calma. Le suggerisco di condividere quanto le ha scritto qui: il senso di essere stata descritta in modo riduttivo e di non essere stata ascoltata nel modo in cui avrebbe avuto bisogno. Questo può aprire un dialogo sulla relazione terapeutica e sull'importanza del rapporto umano, accanto agli aspetti tecnici della terapia.
Per quanto riguarda gli psichiatri, capisco la paura di sentirsi esposta o giudicata. Tuttavia, il loro obiettivo è comprendere meglio la sua situazione per poterla aiutare, non valutare il suo valore come persona. Se sente di voler avere voce in capitolo sul modo in cui viene percepita, potrebbe scrivere una lettera da presentare durante la visita, in cui descrive ciò che sta vivendo e i suoi progressi dal suo punto di vista. Questo le permetterà di sentirsi più preparata e di avere un maggiore controllo sulla narrazione del suo percorso.
Infine, è importante ricordare che la sua sofferenza è valida e merita attenzione. Se sente che il rapporto con la sua psicologa non è più d’aiuto, potrebbe considerare di discuterne apertamente con lei o valutare, con il tempo e senza fretta, la possibilità di esplorare un'altra figura professionale. Questo non è un fallimento, ma un atto di tutela verso sé stessa.
Le consiglio di prendersi cura di sé nei momenti di maggiore difficoltà, anche con piccoli gesti di auto-compassione, e di non isolarsi. È difficile, ma cercare di mantenere il contatto con i suoi curanti, anche solo per esprimere i suoi dubbi e paure, può fare una grande differenza. Rimango a disposizione per supportarla ulteriormente se sente il bisogno di confrontarsi ancora.
mi dispiace profondamente per il dolore che sta vivendo. La situazione che descrive riflette non solo la difficoltà del percorso di cura per un disturbo del comportamento alimentare, ma anche il peso emotivo di sentirsi travisata o poco compresa da chi dovrebbe aiutarla.
È importante ricordare che la relazione clinica, per quanto possa sembrare distaccata e fredda, è uno strumento professionale redatto per orientare il lavoro degli psichiatri e non rappresenta un giudizio su di lei come persona. Tuttavia, il modo in cui questa è stata condivisa con lei ha evidentemente generato ulteriore sofferenza, e questo merita attenzione e rispetto.
Riguardo al confronto con la sua psicologa, potrebbe essere utile provare a esprimere i suoi sentimenti in modo chiaro e diretto, in un momento di calma. Le suggerisco di condividere quanto le ha scritto qui: il senso di essere stata descritta in modo riduttivo e di non essere stata ascoltata nel modo in cui avrebbe avuto bisogno. Questo può aprire un dialogo sulla relazione terapeutica e sull'importanza del rapporto umano, accanto agli aspetti tecnici della terapia.
Per quanto riguarda gli psichiatri, capisco la paura di sentirsi esposta o giudicata. Tuttavia, il loro obiettivo è comprendere meglio la sua situazione per poterla aiutare, non valutare il suo valore come persona. Se sente di voler avere voce in capitolo sul modo in cui viene percepita, potrebbe scrivere una lettera da presentare durante la visita, in cui descrive ciò che sta vivendo e i suoi progressi dal suo punto di vista. Questo le permetterà di sentirsi più preparata e di avere un maggiore controllo sulla narrazione del suo percorso.
Infine, è importante ricordare che la sua sofferenza è valida e merita attenzione. Se sente che il rapporto con la sua psicologa non è più d’aiuto, potrebbe considerare di discuterne apertamente con lei o valutare, con il tempo e senza fretta, la possibilità di esplorare un'altra figura professionale. Questo non è un fallimento, ma un atto di tutela verso sé stessa.
Le consiglio di prendersi cura di sé nei momenti di maggiore difficoltà, anche con piccoli gesti di auto-compassione, e di non isolarsi. È difficile, ma cercare di mantenere il contatto con i suoi curanti, anche solo per esprimere i suoi dubbi e paure, può fare una grande differenza. Rimango a disposizione per supportarla ulteriormente se sente il bisogno di confrontarsi ancora.
Gentile,
mi dispiace profondamente per il momento di sofferenza che sta attraversando. La sua descrizione riflette non solo il dolore per una difficoltà personale molto complessa, ma anche il senso di vulnerabilità e incomprensione che spesso può emergere nei percorsi di cura.
Riguardo alla relazione clinica, capisco quanto possa essere difficile leggere una rappresentazione di sé che appare distante dalla propria esperienza soggettiva. È importante ricordare che quei documenti sono redatti con linguaggio tecnico per fini medici, ma non colgono mai la complessità del vissuto personale. Tuttavia, il suo bisogno di essere trattata con rispetto e delicatezza è legittimo e merita ascolto.
Le suggerirei di condividere con la sua psicologa, con tutta la calma che può trovare, quanto questa esperienza l’abbia fatta sentire, senza puntare su accuse ma spiegando il suo punto di vista: “Mi sono sentita descritta senza che emergesse lo sforzo che faccio per combattere il mio disturbo, e questo mi ha devastata.” Potrebbe anche chiedere di esplorare insieme cosa di quella relazione clinica ritiene distante da ciò che è, così da affrontare gli incontri futuri in modo più preparato.
Con gli psichiatri, invece, può portare questo disagio come punto di partenza per spiegare la complessità del suo percorso. Non è un fallimento esprimere la propria vulnerabilità; può anzi aiutarli a comprendere meglio il contesto della sua sofferenza e adattare il progetto di cura alle sue reali necessità.
Infine, se sente che il rapporto con la sua psicologa non rispecchia le sue aspettative di supporto umano, potrebbe riflettere sulla possibilità di confrontarsi con un altro terapeuta, per esplorare un approccio che le consenta di sentirsi davvero compresa.
Non è sola, anche se può sembrarlo. Si prenda cura di sé con gentilezza.
Cordiali saluti,
Dott. Michele Scala
mi dispiace profondamente per il momento di sofferenza che sta attraversando. La sua descrizione riflette non solo il dolore per una difficoltà personale molto complessa, ma anche il senso di vulnerabilità e incomprensione che spesso può emergere nei percorsi di cura.
Riguardo alla relazione clinica, capisco quanto possa essere difficile leggere una rappresentazione di sé che appare distante dalla propria esperienza soggettiva. È importante ricordare che quei documenti sono redatti con linguaggio tecnico per fini medici, ma non colgono mai la complessità del vissuto personale. Tuttavia, il suo bisogno di essere trattata con rispetto e delicatezza è legittimo e merita ascolto.
Le suggerirei di condividere con la sua psicologa, con tutta la calma che può trovare, quanto questa esperienza l’abbia fatta sentire, senza puntare su accuse ma spiegando il suo punto di vista: “Mi sono sentita descritta senza che emergesse lo sforzo che faccio per combattere il mio disturbo, e questo mi ha devastata.” Potrebbe anche chiedere di esplorare insieme cosa di quella relazione clinica ritiene distante da ciò che è, così da affrontare gli incontri futuri in modo più preparato.
Con gli psichiatri, invece, può portare questo disagio come punto di partenza per spiegare la complessità del suo percorso. Non è un fallimento esprimere la propria vulnerabilità; può anzi aiutarli a comprendere meglio il contesto della sua sofferenza e adattare il progetto di cura alle sue reali necessità.
Infine, se sente che il rapporto con la sua psicologa non rispecchia le sue aspettative di supporto umano, potrebbe riflettere sulla possibilità di confrontarsi con un altro terapeuta, per esplorare un approccio che le consenta di sentirsi davvero compresa.
Non è sola, anche se può sembrarlo. Si prenda cura di sé con gentilezza.
Cordiali saluti,
Dott. Michele Scala
Salve,
La tua sofferenza emerge con forza dalle tue parole, ed è comprensibile che tu ti senta vulnerabile e arrabbiata in questa situazione. Il modo in cui è stata gestita la relazione clinica, con la percezione di mancanza di tatto e di umanità, ha probabilmente toccato corde molto profonde, acuendo la sensazione di solitudine e di esposizione.
Prima di tutto, è importante che tu possa sentirti ascoltata. Potresti valutare di condividere, in uno spazio di confronto con la tua psicologa, queste emozioni e riflessioni. Se trovi difficoltà nel comunicarle direttamente a voce, puoi scriverle ciò che provi, come hai fatto qui: l’atto stesso di esprimerti può aprire un dialogo e aiutarti a sentirti meno sola in questo momento.
Per quanto riguarda gli psichiatri, ti invito a considerare che la relazione clinica è uno strumento tecnico, non un giudizio sulla tua persona. Tuttavia, il modo in cui ti senti rappresentata è centrale: puoi portare direttamente a loro la tua versione di te stessa. Prepararti a questo confronto, magari con il supporto di una guida professionale, può permetterti di affrontarlo con maggiore sicurezza.
Non devi affrontare tutto da sola. Se il rapporto con la tua psicologa ti sembra ora difficile da recuperare, considera di chiedere un parere a un altro professionista, magari un terapeuta con un approccio interazionista, per rielaborare questa esperienza e trovare strategie che ti aiutino a ritrovare equilibrio e dignità nel percorso di cura.
Un caro saluto,
Dott. Marco Di Campli, psicologo psicoterapeuta
La tua sofferenza emerge con forza dalle tue parole, ed è comprensibile che tu ti senta vulnerabile e arrabbiata in questa situazione. Il modo in cui è stata gestita la relazione clinica, con la percezione di mancanza di tatto e di umanità, ha probabilmente toccato corde molto profonde, acuendo la sensazione di solitudine e di esposizione.
Prima di tutto, è importante che tu possa sentirti ascoltata. Potresti valutare di condividere, in uno spazio di confronto con la tua psicologa, queste emozioni e riflessioni. Se trovi difficoltà nel comunicarle direttamente a voce, puoi scriverle ciò che provi, come hai fatto qui: l’atto stesso di esprimerti può aprire un dialogo e aiutarti a sentirti meno sola in questo momento.
Per quanto riguarda gli psichiatri, ti invito a considerare che la relazione clinica è uno strumento tecnico, non un giudizio sulla tua persona. Tuttavia, il modo in cui ti senti rappresentata è centrale: puoi portare direttamente a loro la tua versione di te stessa. Prepararti a questo confronto, magari con il supporto di una guida professionale, può permetterti di affrontarlo con maggiore sicurezza.
Non devi affrontare tutto da sola. Se il rapporto con la tua psicologa ti sembra ora difficile da recuperare, considera di chiedere un parere a un altro professionista, magari un terapeuta con un approccio interazionista, per rielaborare questa esperienza e trovare strategie che ti aiutino a ritrovare equilibrio e dignità nel percorso di cura.
Un caro saluto,
Dott. Marco Di Campli, psicologo psicoterapeuta
Buon giorno cara utente. C'è una differenza tra il rapporto di cura con lo psichiatra e quello con lo psicoterapeuta. Con lo psichiatra basta esporre il comportamento e i dati oggettivi, con lo psicoterapeuta si può parlare del proprio sentire: si tratta di una relazione più complessa e delicata. Questo rende la relazione psicoterapeutica più soggetta a rotture e interruzioni, mentre quella con lo psichiatra a confronto è molto più sicura e rassicurante: non ci si espone più di tanto. Nessuno psicoterapeuta o psichiatra interromperà una relazione o lascerà un paziente, né resterà deluso da ciò che al paziente accade. La sua terapeuta forse intuisce ciò che lei sta attraversando, ma la facoltà di parlarne, di "fare un passo", è sua. Se questo passo la espone a sentimenti di solitudine, dolore e rabbia, potrebbe dirlo farsi conoscere, se ritiene che non la conosca: sicuramente potrà beneficiare di questo non tenersi tutto dentro. Ciò che descrive sembra molto più importante e completamente diverso rispetto a come potrebbe apparire di fronte agli psichiatri e all'immagine che loro potrebbero avere di lei. Se con la sua psicoterapeuta non parla di ciò che sta provando di cosa le parla durante la sua ora? Sembra essere questo non voler mostrare qualcosa, o volerlo mostrare in una forma più accettabile per se stessi, il baricentro delle sue parole. Forse ha a disposizione un'importante -di certo scomoda e dolorosa- opportunità. Sento che ha la capacità per dargli forma e valorizzarla con la sua psicoterapeuta.
Buonasera, comprendo la sua perplessità e mi chiedo quali fossero gli accordi tra lei e la sua psicologa. È una questione controversa infatti quella di mettere al corrente i pazienti della propria diagnosi, a meno che non siano loro a chiederlo; le diagnosi infatti sono perlopiù codici di comunicazione tra professionisti del settore e non possono mai nè rispecchiare, nè descrivere, l’unicità di un essere umano e la particolarità della sua sofferenza.
Le consiglio di parlarne approfonditamente con la sua psicologa.
Cordiali saluti,
Giada Bruni
Le consiglio di parlarne approfonditamente con la sua psicologa.
Cordiali saluti,
Giada Bruni
Buonasera,
innanzitutto andrebbe chiarito in che contesto agisce la psicologa, se nel contesto privato o in quello pubblico (posto che penso che il privato si avvalga anche comune, nel momento in cui la credibilità professionale è anche fatta nelle comunità, non solo nella società organizzata, dunque di quel che il senso comune crede di quel professionista). Pertanto lei ha possibilità di decidere se sia il caso di proseguire o meno con chi non sente la stia riconoscendo. Dopodichè credo lei possa autotutelarsi scrivendo - visto che con la comunicazione scritta ha buone abilità - quel che lei pensa, sente e crede di se e di quel che sta esperendo, nonché delle sue relazioni, affiancando la presentazione della psicologa (a partire dalle sue teorie e letture) al racconto che lei fa di sè nei diversi contesti che abita. Tenga conto che a volte, certe letture, che gli altri offrono sul nostro conto, possono risultare ruvide ma chissà magari possono diventare un'opportunità per effettuare qualche buon cambiamento ed implementare risorse.
Un cordiale saluto
dott.ssa Marzia Sellini
innanzitutto andrebbe chiarito in che contesto agisce la psicologa, se nel contesto privato o in quello pubblico (posto che penso che il privato si avvalga anche comune, nel momento in cui la credibilità professionale è anche fatta nelle comunità, non solo nella società organizzata, dunque di quel che il senso comune crede di quel professionista). Pertanto lei ha possibilità di decidere se sia il caso di proseguire o meno con chi non sente la stia riconoscendo. Dopodichè credo lei possa autotutelarsi scrivendo - visto che con la comunicazione scritta ha buone abilità - quel che lei pensa, sente e crede di se e di quel che sta esperendo, nonché delle sue relazioni, affiancando la presentazione della psicologa (a partire dalle sue teorie e letture) al racconto che lei fa di sè nei diversi contesti che abita. Tenga conto che a volte, certe letture, che gli altri offrono sul nostro conto, possono risultare ruvide ma chissà magari possono diventare un'opportunità per effettuare qualche buon cambiamento ed implementare risorse.
Un cordiale saluto
dott.ssa Marzia Sellini
Buonasera, grazie per la sua testimonianza. La situazione che lei descrive è molto spiacevole: leggo il suo sentirsi ferita da parole scritte in cui non si riconosce, la sua sfiducia nella collega che l'ha seguita a lungo, la perplessità nell'affrontare l'incontro psichiatrico. In genere, in situazioni simili, consiglio ai pazienti di comunicare al curante la propria perplessità e chiedere un "secondo parere", una consulenza a un/una psicoterapeuta che possa ascoltare con attenzione, per capire in che cosa la relazione terapeutica precedente non abbia funzionato. Ora lei sta soffrendo ed è comprensibile per quanto ha vissuto e per le speranze di miglioramento che ha riposto nella sua curante - mi creda, però, può sempre accadere di non capirsi fra psicologo e paziente, ed è una situazione che si può affrontare rivolgendosi a una terza persona, avendo cura di comunicarlo alla sua psicologa.
Mi dispiace tanto per il suo vissuto, purtroppo spesso le relazioni tecniche possono essere disturbanti, perché in quanto tecniche si limitano a descrivere la sintomatologia e le criticità presenti, non si ha mai la volontà di ferire il paziente, ma solo di scrivere in modo più asettico possibile ad una nuova figura professionale il caso. Sono molto addolorata che tutti questi tecnicismi, ahimè necessari in clinica la facciano sentire alla berlina, provi comunque a pensare che in sede di colloquio con gli psichiatri la sua valutazione conta e che sicuramente facendosi conoscere capiranno le che difficoltà che sta vivendono non dipendono da una cattiva aderenza al trattamento.
Gentile utente, mi dispiace molto sapere che stia attraversando un momento così difficile. È comprensibile che lei si senta esposta e fraintesa dopo aver ascoltato la relazione clinica della sua psicologa. È importante che lei possa esprimere come si senta e che le sue preoccupazioni vengano prese in considerazione. Potrebbe considerare l'idea di fissare un appuntamento con la sua psicologa per discutere apertamente di come la relazione l'ha fatta sentire. Comunicare i suoi sentimenti potrebbe aiutare a chiarire eventuali malintesi e a migliorare il vostro rapporto terapeutico. Se si sente poco supportata, potrebbe essere utile valutare l'opzione di consultare un altro professionista con cui si sente più a suo agio. Per quanto riguarda gli psichiatri, potrebbe essere utile prepararsi all'incontro scrivendo ciò che desidera comunicare loro. Portare con se appunti potrebbe darle sicurezza nel condividere le sue esperienze e preoccupazioni. Ricordi che non è sola e che merita di ricevere il sostegno adeguato. Se sente che la situazione sta diventando insostenibile, non esiti a rivolgersi a un servizio di supporto più strutturato per un aiuto immediato. Un caro saluto, Dott. Fabio di Guglielmo
Stai ancora cercando una risposta? Poni un'altra domanda
Tutti i contenuti pubblicati su MioDottore.it, specialmente domande e risposte, sono di carattere informativo e in nessun caso devono essere considerati un sostituto di una visita specialistica.