Buongiorno Quanto una persona è il "disturbo" e quanto una persona "normale"(per normale intendo pe

25 risposte
Buongiorno
Quanto una persona è il "disturbo" e quanto una persona "normale"(per normale intendo persona senza il tale disturbo).
Mi sono stati diagnosticati tratti di personalita dipendente e borderline. Anche il rapporto con lo psicoterapeuta che mi ha in cura è estremamente complicato (non per colpa sua). Non ho una vita stabile: vivo con i genitori con i quali litigo costantemente, ho il terrore (immotivato) del lavoro e ho crisi depressive/ansiose/rabbiose da anni. Mi dimentico spesso sopratutto del disturbo borderline, che è una parte di me, quindi vivo con l'illusione che avrò una vita "come tutti" prefiggendomi obiettivi che poi io non sento miei, rifiuto e non inizio neanche.
Recentemente ho discusso molto con la terapeuta, rifiutandosi e minacciando come spesso accade di abbandonare la terapia e ciò mi porta nuovamente a riflettere sul mio disturbo. Passo le giornate a leggere articoli, che in parte mi consolano (perché è una risposta a tutte le mie stranezze) e dall'altra mi spaventano assai.
I miei genitori, che sono stati giustamente messi fuori dalla terapia visto che ho superato la maggiore età da tempo e sono particolarmente invisvhianti, non sanno del mio disturbo. Vorrei almeno informarli (con l'aiuto magari della terapeuta) che la loro figlia ha un problema, che ma non so come potrebbero reagire. Avrei bisogno del loro sostegno ma dopo anni di terapia loro non cambieranno, però forse dovrebbero almeno avere delle risposte: perché sembro riluttante verso il lavoro o qualsiasi altra responsabilità (che io desidero a tratti prendermi ma ha la meglio la parte dei no!non lo faccio! Perche esiste in me il bambino che presta i piedi.) Perche non ho amici e fatico a socializzare. Dovrei dirglielo?
Cosa è giusto fare? Identificarsi con il disturbo? Sentirsi "normale"? Sapere che molte cose non le posso fare a causa del disturbo o è solo una scusa per non fare?So che non si "guarisce", ma non voglio neanche passare (e far passare) una vita d'inferno. Vorrei avere più chiarezza sulla mia identità, sulle mie emozioni e sul mio scopo nella vita. Mi aspettano tanto anni ancora di terapia, ma fino ad ora anche se ho avuto miglioramenti, non sono ancora riuscita a trovare le risposte che cerco, delle regole in cui poter vivere e darmi una identità il più possibile definita.
Buongiorno.

Una persona è una persona, mai un disturbo. Identificarsi con la diagnosi non l'aiuterà in alcun modo a stare meglio. Anzi, le indurrà un processo di autoetichettamento che le impedirà di mettere in atto i cambiamenti desiderati. Inoltre, anche in presenza di una diagnosi che indichi il profilo personologico e la tipologia di disturbo da cui il paziente è affetto, è necessario valutare la gravità dei sintomi, in base al livello di compromissione del funzionamento dell'individuo nelle attività della vita quotidiana, anche per prendere in considerazione - nei casi più gravi - l'opportunità di un consulto psichiatrico e l'eventuale conseguente assunzione di una farmacoterapia.
Per quel che riguarda il coinvolgimento della sua famiglia nel percorso terapeutico, non esiste una risposta perentoria. Dipende da molti fattori, che lei dovrà valutare con il suo terapeuta.
La cosa più importante, gentile signora, è essere costanti nella psicoterapia. E' la relazione terapeutica che cura. Se ha fiducia nel suo terapeuta e ha cominciato a stabilire con lui una buona relazione, s'impegni con determinazione in questo percorso, cercando di condividere e affrontare insieme dolori, dubbi, pensieri, stati emotivi, ecc., e di superare gli inevitabili momenti di empasse che insorgono durante il percorso che ha intrapreso.
Con l'augurio di esserle stato di qualche aiuto le porgo i miei più cordiali saluti.

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Buongiorno. Concordo con il collega sul discorso della consapevolezza e della coscienza di sé. Personalmente ritengo che aiutil molto sia i pazienti che i terapeuti un ragionamento clinico fondato sulle dimensioni della personalità. Queste facilitano anche un percorso di responsabilità durante la cura e allo stesso tempo un sentimento di padronanza di sé. Al contempo l'esplorazione di se stessa come essere complesso e multidimensionale la aiuterà a nn identificarsi con una etichetta diagnostica e basta
Salve, dalle sue parole traspare il suo desiderio di stare meglio e probabilmente lo identifica con l'essere normale, essere come tutti. Più che una definizione standard sarebbe buono capisse in cosa si concretizza per lei essere normale per prefiggersi obiettivi che hanno senso per lei invece che, come scrive, obiettivi che non sente suoi che poi rifiuta e non inizia neanche. In questo momento sembra che la terapia e la relazione col terapeuta, seppur complicata, siano una risorsa per lei; nonostante le minacce di fatto rimane e vede ci sono dei miglioramenti. È in questa relazione che può valutare se la condivisione con i suoi genitori le può essere utile.
Rispetto alla diagnosi e al leggere informazioni su internet sta sperimentando da sola quanto non le siano di aiuto a stare meglio. La diagnosi è uno strumento utilissimo in terapia se usata per porsi obiettivi volti a implementare le risorse della persona e lavorare sull'accettazione dei limiti, meno utile è usare la diagnosi solo per focalizzarsi su quello che una persona non ha rispetto ad altri presi come confronto.
In bocca al lupo per il suo futuro, dott.ssa Giulia Petracca
Buon giorno gentilissima, quante questioni importanti. Molte di queste non hanno una risposta certa, sono domande con risposte diverse per ogni persona e ogni situazione. Una cosa certa è che come dicono i colleghi, Nessuno è il suo disturbo. Comunicare una diagnosi a un paziente non è mai semplice è scontato proprio perché si rischia di creare questa identificazione. Credo che per altro nel campo della salute psicologica la diagnosi sia sempre un tentativo di semplificare qualcosa di immensamente complesso, ovvero l’espressione dell’esperienza e della personalità umana... ognuno è il risultato della sua storia. Ne parli con la terapeuta, mi sembra per lei una preziosa risorsa. Credo che ognuno debba e possa cercare la migliore espressione di se e del proprio potenziale, al di fuori di una diagnosi.
In bocca al lupo per tutto
Ognuno di noi possiede parti sane e funzionanti e parti disturbate che sono fonte di difficoltà più o meno grandi.
Attenta a cercare la "normalità". Di fatto non esiste. Siamo tutti un compromesso, usciamo tutti da una lunga fase evolutiva poiché l'essere umano alla nascita ha davanti un percorso di crescita che dura molti anni e che inevitabilmente determina l'equilibrio dell'adulto. Come sa, visto che ha già riscontrato miglioramenti, la psicoterapia e la relazione col terapeuta sono l'aiuto di cui necessita. Valuti l'assunzione di un antidepressivo che potrebbe limitare gli eccessi di malessere.
Buongiorno,
credo il suo terapeuta, nonostante la conflittualità, sia un riferimento certo per lei. La invito, pertanto, a proseguire il percorso già intrapreso.
Mi permetto di suggerirle di affiancare, anche solo per un breve periodo, una terapia familiare.
Un caro saluto,
dott.ssa Rita Reggimenti
Nessuno di noi è uguale ad un altro, immergere se stessi dentro un'etichetta è poco produttivo, lo stesso DSM V è utile per scambiare pareri tra colleghi ma dà una visione distorta su ciò che sono le grandi sfaccettature della personalità. Prendere consapevolezza che lei ha alcune caratteristiche può darle la chiave per comprendere alcune sue difficoltà ma di fatto non dice nulla di lei. La strada migliore è stabilire una buona alleanza terapeutica, che agisce come un buon contenimento delle parti di sé che sono meno adattive all'ambiente. Dr.ssa Daniela Benvenuti
Buongiorno,
concordo coi colleghi. Non si faccia appiccicare un'etichetta in fronte. lei non è quell'etichetta. Una persona non è un disturbo, è una persona.
Visto che sta facendo un percorso, le consiglio, se la sua terapeuta le piace, di non interromperlo.
Inoltre le consiglio di parlare con i suoi genitori se ha questo desiderio. Per i suoi genitori sapere, potrebbe cambiare le dinamiche relazionali, che mi pare le pesino.
In bocca al lupo!
E ricordi: siamo tutti "disturbati" ma si impara a convivere con se stessi e con i propri limiti e si può essere felici. Quindi viva! Non si nasconda.
Buongiorno! Le hanno già profusamente ribadito quanto sia relativo il concetto di normalità e come una persona sia molto di più del suo disturbo. E di quanto possa scoprire e imparare ad utilizzare le sue risorse grazie alla relazione terapeutica. Credo che rispetto alla situazione con i suoi genitori, sempre grazie alla terapia potrà comprendere se e quando affrontare con loro l'argomento: consideri che spesso, una terapia familiare può essere utile. Lei è cresciuta in un contesto che l'ha formata e che lei forma a sua volta e si saranno instaurate delle dinamiche che è difficile individuare senza un aiuto e che nel caso possono essere modificate più facilmente se tutti i familiari sono coinvolti. Anche i suoi genitori e la relazione con loro possono essere di grande aiuto nell'affrontare il suo malessere.
Cari saluti, Dott.ssa Emanuela Berta
Buongiorno. Le definizioni diagnostiche sono convenzioni utili per comunicare tra specialisti ma non sono, in ambito delle categorie da Lei descritte, condizioni immodificabili. Sarebbe interessante sapere quanti anni ha Lei. La personalità è in larga parte la conseguenza dell'interazione del sistema umano "mente" con l'ambiente nei primi anni di vita ed è passibile di cambiamento. Valuti i risultati che puó ottenere con la sua terapeuta, parlandone con Lei. Attualmente in sanità pubblica vi è l'indicazione di fare dei percorsi di cura specifici, nei centri di salute mentale, per le problematiche di personalità.
Buo giorno gentilissima, in aggiunta a quanto già espresso dai colleghi mi sento di aggiungere che nel suo caso oltre alla terapia individuale potrebbero essere molto utili gruppi terapeutici per la gestione della rabbia e per sviluppare le capacità di riflettere sui propri stati mentali per ridimensionare ad esempio i dubbi che lei esprime su se stessa, sui suoi rapporti con gli altri e con la sua famiglia. Su quest'ultimo punto personalmente mi sento di dirle che in base alla mia esperienza nella maggior parte dei casi la famiglia è una risorsa al di là delle aspettative dei pazienti specie se guidata e orientata da un bravo psicoterapeuta. Le faccio tanti auguri per riuscire a trovare la strada giusta
Risponderle è molto difficile. Il suo scritto dice che è una persona consapevole delle sue difficoltà, ma tenace e soprattutto curiosa di capire cosa le sta accadendo e per quale motivo. L'indicazione che mi sento di darle è mettere a frutto il buon lavoro svolto con il collega terapeuta, ed integrandolo rivolgendosi anche ad un servizio pubblico che possa coordinare un intervento dai risultati duraturi. Un caro saluto, Adriano Purgato
Personalmente credo che il miglioramento del disturbo che l'affligge non possa prescindere da un percorso di consapevolezza sulle cause che lo hanno generato: fattori predisponenti, tipologia di relazione con i familiari , eventi traumatici. La conoscenza dei meccanismi che hanno facilitato l'insorgere della problematica che riporta l'aiuterà a contrastare il disturbo e ad avere una parte più attiva nel gestirlo. Ma questo presumo l'abbia già fatto con la terapeuta che l'ha in cura. Il tenere all'oscuro i suoi genitori non l'aiuta, soprattutto se vive con loro, rischia di aumentare invece il disagio amplificando il problema. Sarebbe da valutare un coinvolgimento della famiglia, magari tramite l'aiuto di un esperto, per far si che questa realtà venga condivisa piuttosto che percepita come stigmatizzante. E' tramite l'accettazione del problema che si può agire terapeuticamente verso una crescita personale che implichi una compensazione del disturbo.
Le faccio i miei migliori auguri.
Dott. Panzera
salve. io la metterei più in questo modo: il disturbo (e ciò che ne consegue, come l'incapacità di avere un lavoro) è un modo in cui noi esprimiamo qualcosa che ci riguarda che non riusciamo ad esprimere a parole; il disturbo è un mezzo che ci permette di ottenere qualcosa ("vantaggio secondario del sintomo"); il disturbo è legato ad un malessere interiore.
Perciò la domanda che lei si fa, se sia giusto o meno identificarsi con il disturbo non ha a parer mio molto senso, in quanto il disturbo è qualcosa che ci riguarda sempre ed è legato alle parti più profonde e nascoste di noi, ma allo stesso tempo non ci definisce totalmente, e non è neanche qualcosa di estraneo a noi come un virus che infetta il nostro corpo.
inoltre dalla sua domanda sento che lei ha necessità di coinvolgere i suoi genitori all'interno del percorso psicoterapeutico: il fatto che lei abbia più di 18 anni non cambia nulla. Magari può proporre alla sua terapeuta di far partecipare anche loro se lo vorranno. Perchè il disturbo è anche un modo in cui una famiglia condensa tutta la sua disfunzionalità su un unico membro di essa: perciò è bene che questo meccanismo cessi e che ognuno si prenda il suo pacchetto di responsabilità di ciò che non va.
arrivederci
Queste sue domande forse nascondono un timore di non poter cambiare, come scrive riguardo ai suoi genitori che sente che non cambieranno. Vorrebbe però condividere con loro aspetti di cui mi sembra consapevole e che forse le sono noti proprio attraverso il suo percorso di psicoterapia. Può affrontare questi suoi dubbi con la psicoterapeuta per capire come affrontarli con loro. I suoi genitori probabilmente non cambieranno ma può cambiare la vostra relazione. Saluti, dott.ssa Grande Enrica
Buongiorno, nonostante la sofferenza attuale le consiglio di continuare il lavoro di psicoterapia intrapreso in maniera tale da riuscire, con il tempo, a tenere sotto controllo ed a gestire le problematiche che in questo momento la angosciano tanto. Sono sicura che è sulla buona strada.
Dott.ssa Valentina Desiderio
Buongiorno, credo fermamente che per una persona, con o senza disagio psicologico, l'obiettivo principale nella vita sia quello di stare bene nel senso più ampio del termine. Per questo fine non le servono diagnosi e disturbi da attribuirsi ma solo un costante e capillare impegno a trovare la via migliore per la sua esistenza. Lei ha avuto come dichiarato dei miglioramenti nonostante tutti i dubbi e le reticenze. Altri ce ne saranno di sicuro se proseguirà il suo percorso terapeutico e di apertura alla vita. La vita è piena di accelerazioni e blocchi per Lei come per tutti noi. Buon lavoro.
Buongiorno, comprendo il bisogno che ha di condividere i suoi timori ed inquietudini ma forse è meglio che non disperda sue emozioni e contenuti così preziosi cercando su internet. Il suo soazio psicoterapeutico è più importante per lei.
Cordialmente. Flavia Salierno
Salve,ho letto sopra delle ottime risposte..che aggiungere: se lei veramente desidera un cambiamento si può creare quello possibile per scoprire quanto questa etichetta che le è stata data può essere smentita.
Esistono terapie brevi strategiche mirate anche per problematiche come le sue,non sono necessariamente percorsi lunghi;l'importante è toccare le corde giuste per suonare ottima musica. Le auguro il meglio.
Buongiorno, è importante che anche di fronte una diagnosi una persona non si identifichi troppo con quella diagnosi, perché è come ricordare sempre ai suoi neuroni che lei è sempre "quel modo di essere" , quel modo di "funzionare", e non rafforza mai gli altri modi di essere e di funzionare che fanno parte della sua persona e che risultano, maggiormente meno sregolato,... Una Terapia sia farmacologica che Psicologica l'aiuterebbero ad essere più serena nel prendere in mano la sua vita,.... Non esiste un modo perfetto con cui si vive, si vive cercando di stare su un un'equilibrio in quel momento più facile per noi tutti. L'aiuto di un'altra persona è fondamentale...
Cara signora, personalmente ritengo che per i pazienti sia controproducente conoscere la diagnosi. Il suo discorso non è molto chiaro,
Ciò che mi sembra traspari e’ un suo desiderio di accettazione come persona che probabilmente le risulta più complicato perché si intreccia ripetutamente con ciò che lei definisce “ il suo disturbo”. Lavori in terapia le sue questioni cercando di definirle e astrarle dalla diagnosi. Allo stesso modo mi sembra che ciò che vorrebbe dai suoi genitori parli di un desiderio di riconoscimento, essere riconosciuta come figlia amata con tutte le sue peculiarità. Non è la diagnosi che deve condividere ma ciò che prova e che sente.
Cordialmente
Dr.ssa Russo
Buongiorno,
identificarsi con un disturbo non è mai costruttivo. Ognuno di noi è una persona a sè con un funzionamento unico e identificarsi con un etichetta può spingere involontariamente verso un atteggiamento di rassegnazione e giustificazione di ogni comportamento arrivando anche ad ostacolare un vero cambiamento ("faccio così perchè sono borderline", "le cose non cambieranno perchè ho un disturbo").
Sarebbe molto più costruttivo capire il proprio funzionamento, gli automatismi che guidano le nostre reazioni, anche cercando le origini di tali dinamiche nella nostra storia in modo da concederci la possibilità di modificarle e fare esperienza di modalità alternative di reazione e relazione. Del resto mi sembra che lo stia già facendo impegnandosi nella sua psicoterapia con tutte le difficoltà che tale percorso inevitabilmente comporta.
Per quanto riguarda l'opportunità di parlarne con i genitori, solo lei può decidere se farlo, magari tenendo presente che dovrebbe essere una decisione che serve soprattutto a lei evitando di crearsi aspettative sul fatto che tale "rivelazione" possa cambiare magicamente le cose. Le suggerisco di analizzare le sue aspettative col suo terapeuta (probabilmente lo sta già facendo).
Le auguro il meglio e la saluto cordialmente.
Michele Vecera
Buongiorno. Identificarsi con la diagnosi non l'aiuterà in alcun modo a stare meglio. E questo è il primo passo, evitare di autoetichettarsi, evitare di riconoscersi in letture sul disturbo di cui parla, che le possono somigliare, ma non sarranno mai "lei". Lei è molto di più, se lo ricordi, sempre e comunque. Il cambiamento parte dall'affidarsi al terapeuta, che non è ne' suo padre ne' sua madre, anche se talvolta glieli ricorda, ma è soltanto lì per aiutarla. Faccia tesoro di quel tempo, che è dedicato a lei. Il disturbo di personalità forse non cambia, ma c'è da trovare quelle minuziose strategie per affrontare la quotidianità al meglio, anche quando ci si alza male e si ha voglia di altro. Non si abbandoni al "vuoto" ma reagisca, con l'aiuto del terapeuta. E questo è il secondo passo. le faccio i miei migliori auguri. Enrico Piccinini
Salve ci sono due modi secondo me di vivere un disturbo
Essere il disturbo o avere un disturbo.
Direi che la seconda opzione sia la migliore, fermo restando che per me il disturbo, sintomo è una comunicazione da parte della nostra psiche che qualcosa che facciamo con noi stessi, ora non va più bene e questo per diversi motivi tutti molto legati alla persona che ne soffre.
Per quanto riguarda il comunicare quello che le sta accadendo alla sua famiglia mi verrebbe da chiederle
perché non lo ha ancora fatto? paura di non essere compresa, di essere rifiutata? o paura di arrecare sofferenza o dolore? o altro ancora
una volta trovata la sua risposta penso che potrà decidere più chiaramente cosa fare al riguardo.
Credo che sia opportuno che il suo terapeuta la invii da un medico esperto in medicina naturale per affiancare e potenziare la psicoterapia. Salve.

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