Buongiorno, ho 32 anni e per 8 mesi ho frequentato una ragazza di 26 la quale sta vivendo - da quan

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Buongiorno, ho 32 anni e per 8 mesi ho frequentato una ragazza di 26 la quale sta vivendo - da quando aveva 14 anni circa - in una condizione di accudimento invertito: madre che abbandona la famiglia e padre che l’ha relegata in un rapporto morboso al ruolo di moglie surrogata. Lo stesso schema si è ripetuto più di recente (circa 2 anni fa) alla morte della nonna, per cui si ritrova oggi e dover badare anche al nonno non più completamente autosufficiente. Questa ragazza soffre di afefobia in quanto - per sua dichiarazione - da bambina veniva sempre respinta dai genitori ogni volta che cercava abbracci e coccole. Tutto questo ha portato a sviluppare in lei ansia, eccessiva rigidezza di ragionamento, profondi sensi di colpa e malessere al solo di abbandonare il tetto e altre fobie legate a ordine, igiene e socialità. La relazione si è bruscamente interrotta per l’impossibilità di riuscire a trovare qualunque compromesso con questa ragazza. Tengo molto a questa persona e vorrei porvi alcune domande per comprendere meglio il suo punto di vista e se possibile aiutarla. Chi soffre di afefobia pensate che potrebbe provare maggiore disagio nel momento in cui riceve gesti intimi oppure per il fatto di non riuscire a riceverli come vorrebbe? Con un eventuale figlio questa persona pensate che potrebbe concedersi almeno con lui gesti di intimità oppure potrebbe risultare anaffettiva e distaccata? Nel caso di accudimento invertito, il partner e l’eventuale nucleo famigliare che questa persona si creerà ritenete che potrebbero essere sempre relegati ad un ruolo marginale? Questa persona risulta conscia di tale situazione, pensate sia possibile intraprendere un percorso con uno specialista? Grazie fin da ora per la pazienza e disponibilità ad analizzare il caso. Saluti
Salve, mi spiace molto per la situazione ed il disagio espresso e comprendo quanto possa essere difficile per lei convivere con questa situazione riportata. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente. Credo che un consulto con un terapeuta possa aiutarla ad identificare pensieri rigidi e disfunzionali che impediscono il cambiamento desiderato e mantengono la sofferenza in atto ed altresì aiutarla a utilizzare un dialogo interno ricco di parole costruttive. Resto a disposizione, anche online. Cordialmente, dott FDL

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Ciao

le tue domande sono interessanti e dimostrano che sei molto legato a questa ragazza e vorresti un futuro con lei.
Ti consiglierei però di comprendere come mai tu ti senta così legato ad una ragazza con questi aspetti personologici e che ha un disturbo clinico diagnosticato perchè attraverso la comprensione di te stesso potrai trovare le risposte a tutte le domande che ti poni e molto probabilmente potrai aiutare anche questa ragazza a migliorare la qualità delle sue relazioni e l'evoluzione della sua personalità.
Se hai bisogno di ulteriori indicazioni o spiegazioni, puoi chiamarmi e sarò lieta di aiutarti.
dott.ssa Letizia Muzi
Gentile utente, le sue domande mi colpiscono. Sarebbero da indagare le motivazioni che la spingono a voler comprendere la “situazione clinica“ di questa ragazza e a volerla aiutare. Sembrerebbe anche lei spinto da un bisogno di accudimento, in maniera molto simile a quello della ragazza di cui parla…
Un rapporto di coppia è fatto si di comprensione dell’altro ma anche di reciprocità. Le suggerisco di approfondire avvalendosi di un consulto psicologico.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Zena Ballico
Salve, comprendendo il suo profondo amore per la sua ragazza, il problema non è rispondere alle domande che lei pone in merito alla sintomatologia del disturbo e gli eventuali futuri comportamenti ma andare da uno psicologo per affrontare e risolvere il disagio della sua fidanzata e non avere in futuro comportamenti viziati dal problema. Per una buona qualità della vita si cura il problema e non il sintomo. Cordiali saluti. Professor Antonio Popolizio
Gentile utente, in merito alla sua domanda mi sento di dirle che le diagnosi vanno trattate con cautela. Questa "afefobia" di cui parla non è una condizione per cui esiste una cura/risposta universale.. Le diagnosi psicologiche sono fotografie della realtà che sommano sintomi simili ma la cura di ogni persona dipende da chi è quella persona, da qual è la sua personalissima storia e, soprattutto, dalla sua motivazione al cambiamento. Questa ragazza avrebbe voglia di iniziare un percorso?
La invito a guardare i suoi interrogativi da un altro punto di vista e a riflettere su cosa la spinge (a lei che scrive) a cercare queste risposte.

Un percorso psicologico può iniziarlo chiunque, purché ne senta la volontà e il bisogno.

Restando a sua disposizione, le porgo cordiali saluti.
Buongiorno, dalle sue domande si evince un grande affetto e preoccupazione per la ragazza con cui ha intrattenuto una relazione, a quanto dichiara, non molto soddisfacente. Al di là delle diagnosi che spesso risultano essere fastidiose e improprie etichette, credo che vada ascoltata la sofferenza che la persona porta e questo è possibile in ogni umana situazione. Le suggerire pertanto un percorso psicologico per cercare di capire cosa la lega ad una situazione che non la fa stare bene e d altrettanto potrebbe fare la sua amica, ammesso che senta il desiderio di affrontare il suo problema. Resto disponibile per una consulenza. Cordialmente
Dott.ssa Paola Colombini
Buongiorno. Grazie per la completa disamina: si capisce che lei tenga molto alla ragazza in questione e che senta il bisogno di aiutarla. I sintomi che descrive, anche con dovizia di particolari, non sono però in sé esaustivi di una situazione soggettiva, che in quanto tale, è unica e irripetibile e difficilmente inquadrabile in categorie preconcette. La prima cosa da fare per aiutare questa ragazza (a patto che lei voglia essere aiutata) ed aiutarsi è provare a smettere di considerarla semplicemente attraverso queste etichette: sarebbe di giovamento a entrambi. Deve anche interrogarsi sul fatto che forse, oltre a quella dell'amata, c'è anche una Sua domanda, che parte dal Suo vissuto personale. I quesiti che pone (assai interessanti) sono di difficile evasione, in quanto le persone non rispondono tutte alla medesima maniera. Se la sua ragazza vorrà aiuto, dovrà essere lei a chiederlo. Però intanto potrebbe Lei iniziare un lavoro su di sé e, chissà, magari potrà aprirsi nuovi spazi di pensiero che potranno servire sia a Lei sia alla sua partner.
Se ha bisogno di un consulto, anche online, mi contatti.
Cordialmente.
Greta Tovaglieri
Buongiorno,
l'afefobia è una strategia che questa giovane donna ha inconsciamente messo in atto per preservarsi da ulteriori traumi emotivi, E' possibile che un lavoro su di se' possa prevedere una rivisitazione dei traumi pregressi a cui seguirà uno spazio per mentalizzare e tentare di approdare ad una nuova donazione di denso dei suoi vissuti ma la conditio sine qua non per mettere in atto questo disegno dinamico, è che la ragazza abbia la curiosità, lo slancio o perlomeno un principio di motivazione per presenziare ad una prima seduta. Se desidera avviare questo percorso, mi contatti senza indugio. Un saluto gentile. Barbara Zaziemski
Caro utente, immagino non sia facile per lei vivere la realzione con questa ragazza che ha tutte queste difficoltà ed è questo che le spinge a porre qui la domanda. Mi chiedo se lei vive la sua condizione come poco soddisfacente oppure, la situazione turba più lei che la ragazza stessa. Se la ragazza vuole cambiare la sua situazione, sicuramente un percoros psicologico potrebbe aiutare. La mente umana è incredibilmente flessibile ed è capace di molti trasformazioni e quindi abbia fiducia. Detto questo, siccome è lei che si è esposto qui a scrivere la domanda, presupongo che lei abbia una spinta maggiore al cambiamento e quindi le lascio con qualche domanda: visto che non possiamo aspettare che l'altro cambia, dicciamo che la condizione rimane com'è in questo momento, lei è soddisfato nella propria relazione di coppia? si sente che i suoi bisogni sono riempiti? è felice? ritengo che sono queste le domande importanti da porre per il suo benessere maggiore. Rimango a disposizione. Dott.ssa Reikher
Gentile utente,
è percettibile il suo interesse a voler aiutare la donna di cui parla, deve tenerci molto.
In risposta alle sue domande posso dirle che il pensiero, il comportamento e quindi le dinamiche messe in atto da questa persona non cambieranno in meglio con un bambino. E' presumibile che utilizzerà le stesse modalità relazionali con un figlio piuttosto che con un nuovo partner. Il grado di consapevolezza è un indice importante, ma non sufficiente, putroppo. E' necessario che la signora si faccia aiutare ma deve essere lei a volerlo.
Le auguro buone cose
Dott.ssa Di Nardo
Buongiorno,
come ha potuto notare, la maggior parte delle risposte che la riguardano la riportano su di Lei. Che cosa la spinge ad essere così interessato ad una persona tanto problematica e restia? Il fatto è che non conviene mai proporsi di cambiare gli altri, neanche se mossi da volontà di soccorritori. Molto più utile riflettere su di sè, su quello che la muove ad affrontare quella che sembra una "mission impossible". Ad esempio, le è già accaduto altre volte di impelagarsi in relazioni difficili? Se la risposta è sì allora è legittimo invitarla a lavorare su di sè, a porsi domande su di sè e non sulla ragazza di cui parla.
Le auguro il meglio e resto a disposizione.
Dott.ssa Franca Vocaturi
Buonasera e grazie per essersi rivolto a noi portandoci i suoi interrogativi e la sua fatica. Penso che sia importante che lei possa ritagliarsi uno spazio in cui poter esplorare lei stesso i vissuti che questa situazione le ha provocato cercando di dare un significato più profondo al suo sentire e riuscendo così a dare una risposta alle sue domande. Per quanto riguarda la ragazza, invece, penso che un percorso psicologico potrebbe aiutarla profondamente e ciò che lei può fare è cercare di farle prendere consapevolezza di questa sua necessità. Resto a sua disposizione, Dott. Andrea Brumana
Salve. Grazie per utilizzare questo portale. Quello che mi viene da dire è che sarebbe più funzionale motivare la sua ragazza ad intraprendere un percorso piuttosto che porsi lei le questioni nodali della sua vita ricercandone le risposte.
Salve! Intanto mi sento di dirle che qualsiasi osservazione fatta qui in risposta al suo messaggio viene avanzata solo sulla base di quanto lei ha riportato scrivendo, pertanto, cerchi di attribuirle il giusto peso, senza farne una questione di verità assoluta .
In merito a quanto riporta, è percepibile la sofferenza che prova e me ne dispiaccio. Mi colpisce l'utilizzo che lei fa nel racconto dei termini diagnostici per descrivere la ragazza e per formulare i quesiti a cui chiede risposta, si comprende l'importanza che ricopre "il sintomo" all'interno della vostra relazione. In risposta a quanto chiede, credo che non sia possibile sapere a priori se la ragazza possa o non possa riuscire a svincolarsi dalle dinamiche scomode a cui è soggetta, così da poter vivere a pieno e in maniera soddisfacente un rapporto di coppia o creare un nucleo familiare a sé. Inoltre, non credo che la risposta dipenda tanto dal nome (diagnosi) che è stata attribuita al suo comportamento. Piuttosto, credo che questa "possibilità di ripresa" dipenda da tanti aspetti diversi, tra l'altro non deducibili da questo messaggio e in assenza di una conoscenza diretta della persona in questione. Il punto è che non è un'etichetta diagnostica a decidere dell'evoluzione di vita di una persona, ma la disponibilità o meno di risorse interne ed esterne a cui la persona potrebbe attingere per risolvere certe questioni, sempre che ci sia un barlume di consapevolezza e di motivazione da parte della stessa.
Spero di aver un minimo saturato il suo desiderio di risposte.
Saluti, Psicologa Marzano Rosita.
Gentile utente, leggendo le righe da lei scritte, ho compreso che ci tiene a questa persona; allo stesso tempo la invito a riflettere su due parole, che ha utilizzato: “accudimento invertito” e “schema ripetuto”, poiché ho immaginato quanto nella vostra relazione di coppia in modo invertito si siano ripetuti questi ruoli di accudente (da parte sua) e di accudito (da parte della ragazza). Quale suo personale bisogno la muove verso questa ragazza? Com’è per lei stare a contatto con una persona, che presenta questa “fobia” di cui parla? La invito, come hanno già fatto i miei colleghi, a riportare l’attenzione su lei stesso e, qualora la ragazza ne sentisse il bisogno, sarà lei stessa a rivolgersi a un professionista. Riparta in primis da se stesso.
Le auguro il mio in bocca al lupo e resto disponibile anche online,
Dott.ssa Martina A. Cerelli
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Salve, la ringrazio per aver condiviso qua la sua storia. Si percepisce il suo attaccamento verso questa persona, ma allo stesso tempo, penso che debba riflettere su queste domande che si pone, nei riguardi della sua ragazza e di possibili situazioni future. Non ci sono risposte giuste o sbagliate e nessuno ha comunque delle risposte che possano essere abbastanza esaustive, perché ogni persona è diversa l' una dall' altra e con sé porta esperienze e sentimenti diversi. La fobia di cui parla è un' etichetta che descrive una certa sintomatologia, ma dietro c'è una persona che ha vissuto molta sofferenza e difficoltà.
Quello che le consiglio di fare è di poter trovare uno spazio in cui lei possa condividere ciò che sente e quello che la tiene agganciato sentimentalmente a questa storia.
Eventualmente per qualsiasi dubbio o chiarimento, rimango a disposizione.
Un caro saluto, Dott.ssa Angela Peronace
Buongiorno, si comprende che lei sia molto legato alla ragazza e quanto sia difficile convivere con il suo modo di essere. Prima di tutto mi preme chiederle se le caratteristiche da lei descritte sono state realmente diagnosticate da un professionista, se la ragazza ha seguito o segue un percorso terapeutico o se sono frutto di riflessioni personali. Questo è un dato importante per fornirle indicazioni più specifiche. Una consulenza psicologica potrebbe aiutarla ad approfondire e a comprendere meglio come relazionarsi con lei. In ogni caso mi concentrerei maggiormente sulle sue emozioni e sensazioni all'interno della relazione, ma il compito di aiutare la ragazza non spetta a lei. Qualora la ragazza abbia voglia di lavorare su di lei, sarà lei a farlo. Un caro saluto
Buongiorno, è lodevole che si preoccupi per questa ragazza e la sua situazione difficile. Sicuramente è abituata ad uno stile di vita molto diverso dal suo perchè sempre vissuto in queste condizioni, tuttavia se lei volesse comprendere meglio e cambiare la sua modalità è una scelta che deve essere intenzionata lei a fare e a portare avanti. Per ora lei vive così e se vuole passare tempo con questa ragazza deve accettarlo oppure comprendere che non fa per lei. Sarebbe utile per questa ragazza se se la sentisse un supporto psicologico, ma è una scelta personale che richiede tanta motivazione, lei può solamente starle vicino e fornirle il suo supporto se se la sente. Purtroppo in assenza di dati non si possono dare interpretazioni su questa persona.
Buongiorno, grazie per aver condiviso con così tanta chiarezza la situazione di questa persona a cui tieni molto. È evidente che ci sia una complessità profonda nel suo vissuto, e comprendere come queste esperienze influenzino i suoi comportamenti e le sue relazioni può essere un primo passo verso un cambiamento positivo. L’afefobia, o paura del contatto fisico, sembra avere radici profonde nella sua storia di rifiuto e trascuratezza affettiva in età infantile. Questa paura può portare a un conflitto interiore: da una parte, la persona può sentire il bisogno naturale di affetto e connessione emotiva, mentre dall'altra può essere frenata dal timore del contatto stesso, che riaccende emozioni di disagio o ansia. Questo può portare a un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’intimità: il desiderio di vicinanza può coesistere con il disagio legato al contatto. Con un percorso terapeutico, è possibile affrontare queste paure e lavorare gradualmente per disinnescare il legame emotivo tra il contatto fisico e il timore o la vergogna che vi si associa. Per quanto riguarda la possibilità di intimità con un figlio, va considerato che i modelli relazionali problematici possono essere compresi e modificati con il giusto supporto. L’affetto genitoriale, in genere, suscita in modo naturale una tenerezza e una vicinanza che aiutano a sviluppare una connessione affettuosa. Se questa persona riuscisse a lavorare sulle proprie difficoltà di intimità, potrebbe trovare più facilmente un equilibrio emotivo anche in un rapporto con un figlio. Se, invece, le sue paure non venissero affrontate, potrebbe incontrare delle difficoltà a vivere il contatto fisico con spontaneità, perfino in un contesto genitoriale. Il tema dell’accudimento invertito, ossia il ruolo di cura che questa persona ha assunto in giovane età, può certamente condizionare il modo in cui costruisce le relazioni adulte, specialmente quelle sentimentali. Spesso chi ha vissuto un’accudimento invertito sviluppa una forte responsabilità e un legame d’attaccamento verso la famiglia d’origine, che può talvolta ridurre lo spazio disponibile per il partner. Tuttavia, anche questa inclinazione può essere trasformata: in terapia, è possibile lavorare per costruire confini più sani e arrivare a una gestione del legame con la famiglia che rispetti anche il ruolo del partner e della propria indipendenza. La consapevolezza di questa persona rispetto alla propria situazione è già un segnale positivo. Questa base di comprensione può rappresentare un buon punto di partenza per un percorso di cambiamento. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è dimostrata efficace nell’aiutare a gestire ansia, sensi di colpa e rigidità di pensiero, fornendo strumenti per riconoscere e modificare i pensieri che contribuiscono alle paure e alle difficoltà relazionali. La terapia, inoltre, potrebbe prevedere esercizi specifici, come l’esposizione graduale al contatto fisico, per permettere alla persona di sviluppare maggiore serenità e stabilità nell’intimità. Se la persona si sentisse pronta, un percorso terapeutico potrebbe rivelarsi un’importante risorsa per affrontare le fobie e i sensi di colpa e per imparare a vivere le relazioni in modo più libero e appagante. La tua presenza empatica e il tuo desiderio di supportarla sono già un grande sostegno, e potrebbero rappresentare un incoraggiamento prezioso per considerare un percorso di questo tipo. Ti auguro il meglio. Dott. Andrea Boggero

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