Buongiorno, Dopo due anni e mezzo credo sia il momento di interrompere il mio percorso con il mio

17 risposte
Buongiorno,

Dopo due anni e mezzo credo sia il momento di interrompere il mio percorso con il mio psicologo. Comincio a nutrire dei dubbi - che ho sempre nutrito - sull'aiuto concreto che mi possa continuare a dare, mentre lei ogni volta mi dice di continuare. Mi sento meglio alla fine delle sedute, ma non sento di fare grandi passi. Nello specifico, mi sento molto coccolato, mi viene rinforzato molto il mio ego, ma sembra che non sia mai colpa mia, e sempre una responsabilità degli altri. Certo, mi fa sentire meglio, però mi sembra di non affrontare realmente niente: avrei bisogno di prendere due schiaffoni, ogni tanto. Non sono riuscito ad essere sincero su tanti argomenti in terapia per due anni, ed ora che finalmente sono venuti fuori a causa di un evento esterno (sono stato "beccato") li ha affrontati in un modo che non condivido (nello specifico: problematiche in campo sessuale, assenza di desiderio nei confronti del partner, preferenza alla masturbazione piuttosto che al rapporto sessuale, miei meccanismi di difesa per cui ho mentito per diverso tempo al mio partner su autoerotismo e altri argomenti su questa sfera). Mi ha prescritto, senza diagnosi o senza approfondire o darmi strumenti per affrontarlo, immediatamente di astenermi da qualsiasi rapporto sessuale, sia con il partner sia di natura autoerotica. Questa cosa, senza gli strumenti per affrontarla, sento che non sia giusta, che rovini la mia relazione e che non porti nemmeno me ad una soluzione sana, sebbene ne capisca il senso (un banale: astieniti fino a quando non sarai tu a desiderarlo davvero).

Vorrei affrontare la questione con uno specialista sessuologo che mi possa dare anche un altro approccio, vorrei sperimentare altri percorsi e altri metodi, ma la mia terapista sostiene che dovrei continuare il percorso con lei, e che è un momento in cui sarebbe dannoso abbandonare.

Non so come comportarmi: io mi sento pronto per affrontare un nuovo percorso con un'altra persona, ma temo di non riuscire a prendere questa decisione quando, la prossima settimana, la vedrò.

Come posso fare? Può causare problemi interrompere un lavoro di questo tipo? Premetto che io ne sono sufficientemente convinto e che se dovessi decidere io (so che in realtà devo decidere io, ma l'opinione di chi mi ha seguito per due anni e mezzo conta, eccome) abbandonerei il percorso e proverei con un altro specialista.
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL

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Gentile Utente, forse quello che è accaduto in terapia è quello che le accade anche nella sua vita.
La fatica di essere autentico, spontaneo e di sentirsi libero di dire quello che pensa, raccontano di un suo modo di funzionare che però comincia a crearle sofferenza. Dove ha imparato a relazionarsi così? Perchè? da cosa si protegge? Quanto accaduto potrebbe essere la spinta per parlare con la sua terapeuta apertamente e raccontarle cosa sta funzionando e cosa no nel vostro rapporto.
Sono sicura che sarà una occasione di crescita sia che decisa di restare che di lasciare questo percorso.
Un caro saluto
Sara Genny Chinnici
Gentile utente, racconta una situazione che si verifica molto spesso, si inizia un percorso che porta dei risultati, dei momenti ci si sente fermi, altri si procede spediti, per poi avere nuovamente apparenti o reali dubbi. Questo fa parte del percorso di tutti coloro che iniziano a investire per migliorare alcuni aspetti di se o affrontare delle difficoltà. La sua terapeuta sicuramente ha ben chiaro in mente il percorso che sta portando avanti e ha maggiori informazioni rispetto a noi sul perché le dice di non abbandonare. Ciò che posso suggerirle, al di la di una diagnosi, secondo il mio punto di vista, è quello di focalizzarsi sulla sincerità del rapporto che ha costruito con la sua terapeuta, è fondamentale al fine della riuscita che sia il più possibile trasparente sui dubbi che nutre, sulle difficoltà che sta affrontando rispetto alla prescrizione che le è stata data approfondendo come la fa sentire, la sensazione che ha di non avere strumenti per affrontarla, dichiarando, se necessario, che sente il compito più grande rispetto a quello che è in grado di fare. Solo in questo modo la collega può aggiustare il tiro e crearle un abito su misura. La terapia è sempre un percorso dinamico che si plasma al meglio tanto più si è chiari ed espliciti.
Poi si domandi, e questo è la cosa fondamentale, si fida del suo terapeuta? La fiducia è la base, senza questo presupposto diventa complicato.
La risposta che darà a questa domanda la aiuterà a prendere una decisione che dovrà poi argomentare con la sua terapeuta perché anche l'eventuale chiusura di un percorso insieme ha una grande importanza sia per lei che per la collega. Spero di esserle stata di aiuto, un caro saluto
Gentilissimo, maturare una decisione di questo tipo è assolutamente legittimo e, nel suo caso, sostanziato da diversi aspetti che ha citato come argomentazioni alla base della sua decisione. Le suggerisco di condividere queste consapevolezze in terapia, così da poterle elaborare ed eventualmente mettere a sistema in vista della eventuale chiusura del percorso. Come dire, così facendo può chiudere il cerchio, ossia “scrivere” in modo appropriato la fine del suo percorso senza lasciare il “romanzo” della sua terapia a metà e senza quindi le necessarie considerazioni conclusive. Quando la terapia non sortisce gli effetti desiderati, che non sono obbligatori ma auspicabili, è plausibile pensare di terminarla ma, le ribadisco, sarebbe opportuno poter condividere e comunicare con il terapeuta quanto ha qui riportato. Augurandole ogni bene, la saluto cordialmente e le auguro delle buone festività
Buongiorno, i suoi dubbi sono legittimi. Una psicoterapia è consigliata perché, se da una parte "guarisce" gli stati d'animo che non la fanno stare bene, dall'altro "educa" alla consapevolezza e alla conoscenza di sé. La conseguenza di questa "educazione" è che poi lei è in grado di fronteggiare tutto ciò che la vita ci riserva quotidianamente, in modo adeguato. Se non trova riscontro con lo psicoterapeuta che sta frequentando o dovesse frequentare, conviene cambiare. Ognuno ha un suo metodo di lavoro e non è detto che quel metodo vada bene per lei. A disposizione per qualsiasi chiarimento, la saluto cordialmente.
dr.ssa Elena Santomartino, psicologa psicoterapeuta
Buongiorno, la situazione è molto complessa perché da un lato è suo sacrosanto diritto interrompere una terapia di cui non sente il beneficio, dall'altro nella mia esperienza la possibilità di riflettere insieme su ciò che accade nella relazione terapeutica, soprattutto quando questa sembra non funzionare bene, è spesso la migliore via d'accesso ai nostri meccanismi meno consapevoli e più "disfunzionali".
Se dovessi sintetizzare questo in una sorta di consiglio, sarebbe quello di cercare di avere una conversazione autentica e, perché no, anche conflittuale nei limiti del rispetto reciproco, con la sua terapeuta sulle motivazioni che la spingono a cercare un altro tipo di aiuto. Spero di essermi espresso chiaramente ma se così non fosse resto a disposizione per eventuali chiarimenti.
Salve. Sarebbe forse opportuno, in questi casi, parlarne con il proprio terapeuta: della fatica a proseguire, di questa prescrizione del suo curante, di quello insomma che accade nella relazione con lui e che non le torna. Lo scambio potrebbe rivelarsi molto produttivo e potrebbe sortire degli effetti. Dopo di che può scegliere quale strada intraprendere: se restare o cambiare; l'importante è che metta al lavoro tutti questi sintomi di cui parla e da cui, si capisce, è molto condizionato. Non so che tipo di cura sita facendo, io però le consiglio una psicoanalisi, percorso lungo, ma che potrebbe aiutarla a sciogliere alcuni nodi della sua storia. Rimango a disposizione. Cordialmente. Greta Tovaglieri
Buongiorno,
Ritengo fondamentale, innanzitutto e qualora non lo avesse già fatto, esplicitare al suo terapeuta attuale questi dubbi e provare ad affrontarli insieme.
In secondo luogo, andrei a sconfessare l'idea comune per cui un terapeuta possa considerarsi solo alternativo ad un altro. Spesso, accade che, in terapia, il paziente possa avere capacità mentalizzanti tali da considerare la propria necessità di ulteriori aiuti (magari in aree in cui con il primo terapeuta non è riuscito a lavorare bene), allora è il caso di integrare, senza per forza, però, eliminare il primo aiuto terapeutico.
Difatti, consideriamo anche che, specialmente in aree dove si parla di aiuti medico-specialistici (come il sessuologo), la frequenza di sedute si alterna o comunque si dirada rispetto alla frequenza di sedute in psicoterapia.
Le consiglio di provare a parlare anche di questa possibilità con il suo terapeuta.

Sperando di esserle stata d'aiuto,
Dott.ssa Elisa Folliero
Buongiorno,
da quanto ha scritto mi sembra di capire che ha già espresso le sue difficoltà relazionali con la sua terapeuta ma non si è sentito ascoltato in pieno.
Per quanto sia una relazione molto importante, anche perché dura da due anni, mi sento di legittimarla nella sua necessità di avere un altro confronto.
La fiducia e trasparenza nella relazione terapeutica sono i primi aspetti fondamentali perché questa funzioni.
Tuttavia se in questi due anni non ha parlato intimamente di sé, il percorso è andato avanti su degli aspetti meno profondi. Pertanto mi chiedo come possa essere possibile avere dei risultati.
Se da un lato quindi la sua terapeuta potrebbe "non convincerla" del tutto, dall'altro anche lei non si è messo veramente in gioco finché non è stato "scoperto".
Affrontare un percorso significa entrare nei meandri più bui e nascosti di sé, quelli più spaventosi o imbarazzanti e se non si è pronti a farlo forse bisogna ripensare se sia il momento opportuno per poterlo affrontare. Forse non si sente ancora veramente pronto.
Se invece pensa di esserlo davvero, prima di cambiare terapeuta può provare a darsi e a dargli una possibilità: mettersi a nudo fino in fondo, provarci davvero.
Se anche in questo caso non dovesse funzionare come da lei auspicato a tal punto può pensare di avere un altro percorso senza avere ulteriori dubbi.
Fare un cambio senza provarci veramente, potrebbe portarla ad avere dei rimpianti o dei dubbi mai risolti.
Le auguro di trovare il percorso più giusto per lei.
D.ssa Silvia Ferrari.
Buongiorno,comprensibile come si sente in terapia. Credo che come Lei non è riuscito ad aprirsi in modo autentico con la Sua terapeuta, anche la terapeuta si sia trovata ad affrontare insieme solo in parte le Sue difficoltà. E a Lei arriva come sbagliato quello che le viene prescritto.
Pertanto credo come prima cosa, che dovrebbe essere sincero con Lei , semplicemente affrontando il fatto che non è mai riuscito a parlare di certe cose. In ogni caso è Sua la decisione di chiudere o intraprendere percorsi nuovi.
Cordialmente
Dott.ssa Danila Zaccarelli
Buongiorno, ho letto con interesse la sua lettera in cui spiega molto bene la situazione e lo stato d'animo che la domina. Ci sarebbero molte cosa da dire, a partire dalla legittimità delle sue sensazioni, fino ad arrivare all'esigenza di essere se stessi. Ovviamente il parlarne con la sua terapeuta in maniera sincera è il primo passo da fare. Non so cosa sia meglio per lei, se cambiare terapia o meno, ma vorrei porre l'accento su una sua esigenza che a mio avviso non aspetta altro che essere realizzata, mi riferisco allo schiaffone! Non dobbiamo mai credere che la soluzione venga dall'esterno, questa è una falsa interpretazione che ci viene fornita dalla mente. Lo schiaffone se lo deve dare lei applicando la sua capacità creativa alla vita e alla risoluzione dei problemi. E' probabilmente in questo momento chiamato ad una profonda azione creativa nei suoi stessi confronti, si faccia come vuole! La psicoterapia è un contenitore fluido in cui accadono delle cose, bisogna saper leggere anche quelle che sembrano dei problemi di funzionamento della relazione. Quello che cerca dalla terapeuta potrebbe essere non tanto la "sberla" in sé e per sé, ma piuttosto la consapevolezza di averne bisogno. Provi a darsi un bello schiaffo di amore e inizi a crearsi.
Resto a disposizione per eventuali altre domande. In bocca al lupo!
Buonasera! Sembra descrivere la relazione con la terapeuta come una relazione che protegge, accudisce, "coccola". Quasi come sentisse il bisogno di una sferzata, di un maggiore coinvolgimento, di una scintilla di eccitazione relazionale, DI UN CAMBIAMENTO. Chissà che la sua terapeuta, invece, non abbia colto qualcosa di significativo in questo momento di impasse. "Problematiche in campo sessuale, assenza di desiderio nei confronti del partner, preferenza alla masturbazione piuttosto che al rapporto sessuale, miei meccanismi di difesa per cui ho mentito per diverso tempo al mio partner su autoerotismo e altri argomenti su questa sfera" appare molto simile a quanto si sta ripetendo sul piano relazionale con la collega, che non offre occasioni di autoerotismo (inteso come metafora), ma la possibilità di vivere una relazione terapeutica matura e impegnata. Forse, è noioso... Forse, fa paura... Forse, è un'occasione... In bocca al lupo
Cara utente, alcune forme di amore ricalcano stadi evolutivi precoci, cioè sono simili a quelle che avevamo quando eravamo bambini. L'attaccamento possessivo nei confronti della madre, l'egocentrismo e la mancanza di empatia, la gelosia e l'invidia, sono atteggiamenti e sentimenti "normali" nell'infanzia, tanto più se il bambino o la bambina non ha un attaccamento sufficientemente sicuro. Crescendo si può superare questa insicurezza e questa possessività di fondo che fa soffrire sia chi ce li ha sia chi li subisce. Sottostare a queste richieste può essere a sua volta segno di uno stile di attaccamento insicuro anche se non lo è necessariamente. Cioè, può essere che chi ha un attaccamento sicuro, pur potendo vivere un amore sereno e aperto e rispettoso, non capisca che la pretesa è "un sintomo" e si senta in colpa del dolore dell'altro o dell'altra. Nel suo caso lei può ascoltarsi e con le giuste chiavi di lettura capire se questa donna è proprio quella con la quale vuole vivere, se è disposta ad aiutarla a crescere magari con una iniziale terapia di coppia, seguita da una terapia individuale della sua ragazza (sempre che diventi consapevole di avere un problema nell'attaccamento amoroso). Spero di esserle stata utile
Gentile utente, vorrei condividere con lei alcune considerazioni in merito al suo messaggio. Innanzi tutto lei afferma di stare meglio dopo le sedute, ma al contempo vorrebbe chiudere il suo rapporto terapeutico. Questa sembra essere un’incongruenza che andrebbe esplorata con la specifica indagine da parte della terapeuta.
Secondo, poi, afferma che ogni tanto le faccia bene prendere degli schiaffoni, affermazione che mi sembra parte di sistema di copione, che molto probabilmente mette in atto anche in altre situazioni della sua vita. Ritengo che questi aspetti andrebbero affrontati ed analizzati nella sua terapia.
In merito al discorso intimo ed al rapporto con la sua partner, potrebbe affrontare il tema con un/una sessuologo/a contestualmente alla sua terapia, avvalendosi di un parere specialistico, da utilizzare e integrare nel suo percorso terapeutico.
La terapeuta potrebbe non essere questa che fa per lei, ma il suo modo di reagire potrebbe fare parte del suo bagaglio di esperienze e comportamenti acquisiti nel corso della sua vita.
Un caro saluto, dott.ssa Laura Viterale
Carissimo, intanto le faccio i complimenti per i suoi due anni e mezzo di terapia! Se il percorso terapeutico è arrivato a questo punto la relazione con la sua terapeuta dovrebbe essere molto intima per cui è possibile che stia emergendo un conflitto con la terapeuta che è lo stesso per cui lei ha un calo del desiderio e pratica autoerotismo, nella sua relazione con la partner. Questo "rivolgersi a se stesso" o "rifugiarsi in se stesso" le sta capitando o le capita con la partner e le sta anche capitando in terapia. Ovviamente le sto proponendo delle ipotesi perchè solo la sua terapeuta ha le informazioni necessarie e la conosce, tanto da formulare delle ipotesi, più idonee. Inoltre, mi pare di percepire che lei si senta "trattenuto" dalla terapeuta e ciò andrebbe meglio esplorato, perchè forse anche questo è quello che accade nelle sue relazioni. Quello che andrebbe compreso è come mai Lei ha costruito questa modalità di relazionarsi agli altri, le dinamiche sessuali sono il sintomo, ma il problema è di tipo affettivo e relazionale. Cosa le fa veramente paura nell'affidarsi all'altro? Detto ciò se sente invece che la terapeuta non riesce a traghettarla verso un piano più profondo della problematica potrebbe essere in effetti che il vostro percorso sia concluso e Lei possa meglio indagare con un altro professionista le ragioni profonde del suo modo di "ritirarsi" dalla intimità con l'altro. Mi auguro di averle fornito qualche spunto di riflessione sia per procedere con il suo percorso terapeutico, sia che Lei decida di concluderlo. Per quello che riguarda "gli schiaffoni" credo che la questione sia molto complessa e richiama piuttosto ad un suo rapporto con la figura paterna, e anche questo sarebbe un interessante discorso da portare nella sua terapia, attuale o futura. Le faccio i miei migliori auguri e qualora volesse approfondire le sue difficoltà con me può consultarmi per un colloquio on line. Un caro saluto. Rosalba
Gentile utente, mi sento di suggerirle, come i colleghi precedenti, un confronto con la sua terapeuta. Un confronto dal quale forse non uscirà coccolato, e chissà che non ci esca il famoso schiaffone! Sto scherzando, ma non del tutto. Nel senso che confrontarsi vuol dire esprimere sinceramente cosa si sente, cosa si desidera, che dubbi si hanno, cosa non le va bene ecc. Con educazione, ma senza compiacenza, non aspettandosi approvazione, ma rischiando il disaccordo. Poi si vede, come reagisce l'altro, cosa dice ecc. Insomma si tratta di assumersi dei rischi rispetto alla relazione.Può essere un passo di crescita per lei, può esserlo per la relazione terapeutica. Se tutto questo porterà invece alla rottura della relazione lei ne avrà giovato per aver rischiato un nuovo comportamento e si senterà libero per intraprendere un altro percorso. Si ricordi che la terapia la fa il paziente, quindi il lavoro è il suo. Cordiali saluti, dott.ssa Silvia Ragni
Gentile utente grazie per la condivisione di questo suo disagio su questa piattaforma. Rispetto alla problematica che espone sicuramente due anni e mezzo sono un buon percorso e sicuramente avrà raggiunto dei risultati assieme alla sua terapeuta. Può darsi sia giunto il momento di provare a intraprendere un altro percorso di terapia alle volte capita. Da anni mi occupo di tematiche di natura sessuale e le consiglio di ricominciare un percorso dove affrontare questa sua problematica, assumendosi in parte la responsabilità di quanto le accade. Cordialità dott. Gaetano Marino

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