Buonasera, ho 27 anni, maschio, ho fatto terapia per circa 15 anni, e questo è solo uno sfogo. Vivo

27 risposte
Buonasera, ho 27 anni, maschio, ho fatto terapia per circa 15 anni, e questo è solo uno sfogo. Vivo una solitudine profonda da che ne ho memoria. Quando cammino in strada quasi spero che mi fermi un venditore ambulante, o qualcuno che fa volantinaggio, questo è il massimo di interazione che ho nelle mie giornate.
Sono gioielliere, lavoro con metalli e pietre preziose e riesco comunque ad essere un miserabile. La mia rassegnazione ha raggiunto un punto tale che nemmeno la fantasia funziona più, io che ero solito fuggire in film mentali che Hollywood in confronto risulterebbe un manipolo di principianti. Ormai non mi è rimasto più niente, nemmeno i sogni, ogni giorno mi dico che posso riuscire ad andare avanti ancora un pò, ma poi quando torno nella mia bellissima casa vuota mi chiedo per chi lo sto facendo, e le risposte che trovo non sono mai soddisfacenti. Com'è possibile che in 27 anni di vita ancora non abbia trovato un pò di felicità? Un pò di pace? Ma alla fine penso che tutti hanno i loro problemi, e che ce ne sono di molto peggio dei miei, e questo mi fa sentire stupido, debole e ingrato dato quello che ho. Da tanto tempo ormai il cibo è plastica, il sonno solo una via d'uscita in cui mi rintano ogni notte, e i colori non esistono più. Sono così abituato alle mazzate e alle delusioni che non sono più capace di godere di nessun tipo di carezza, dato che avendone ricevute poco e niente, finiscono per fare più danni del resto. Odio questa città, e temo sia lo stesso anche altrove, sono ben consapevole di chi sono, e mi fa arrabbiare ancora di più, perché so che mi sarebbe bastato veramente poco per essere felice. Non sarò mai libero. Cosa suggerite?
Grazie per aver condiviso queste parole così profonde e sincere. È evidente quanta sofferenza si porti dentro e quanto questa solitudine abbia lasciato un segno nella sua vita. Si percepisce chiaramente il peso delle sue emozioni, ma anche la lucidità con cui guarda alla sua situazione. Non è semplice vivere con la sensazione che nulla possa più sorprenderla o darle quella carezza di cui sente così tanto il bisogno, eppure, arrivare a scrivere tutto questo è già un atto di coraggio. È un modo per dire a sé stesso e al mondo: “io esisto e voglio qualcosa di diverso per me”. Dal punto di vista Cognitivo-Comportamentale, mi concentrerei su alcuni aspetti fondamentali della sua esperienza. La solitudine che descrive non è solo una condizione esterna, legata alla mancanza di contatti o relazioni significative, ma anche un’esperienza interna, un modo in cui la sua mente e il suo cuore si sono abituati a stare al mondo. Questa “rassegnazione” e la perdita della fantasia (quella capacità di fuggire mentalmente che prima riusciva a regalarle sollievo) sono segnali di quanto questa solitudine abbia eroso il suo senso di vitalità. Una cosa importante da considerare è che la mente, quando entra in questo stato di “stallo”, tende a concentrarsi sulle mancanze, sui fallimenti, sul vuoto, e rischia di ignorare qualsiasi spiraglio di possibilità. Questo meccanismo, che a volte definiamo come pensiero automatico negativo, è qualcosa che possiamo imparare a riconoscere e a modificare. Non si tratta di negare la sofferenza (che è reale e valida) ma di osservare come alcuni pensieri, per quanto sembrino veri e inevitabili, possano non essere utili o accurati. Dire “non sarò mai libero” è una conclusione che si sta dando oggi, ma non è una verità assoluta e immutabile. Una delle prime strade che si potrebbe esplorare è quella di ricostruire piccole connessioni con la realtà esterna, in modo graduale e concreto. Ha parlato del suo lavoro come gioielliere, una professione in cui si lavora con bellezza, precisione e creazione. Questo potrebbe diventare un punto di partenza: provi a chiedersi se c'è un modo per riportare un senso di significato in quello che fa, magari condividendo il suo talento con gli altri, anche attraverso piccoli progetti che lo mettano in contatto con persone che possono apprezzare ciò che crea. Non deve essere un cambiamento drastico, ma piccoli passi verso la costruzione di un ponte tra lei e il mondo. Un altro aspetto importante riguarda il senso di gratitudine che ha menzionato: il pensiero che "ci sono problemi peggiori" può sembrare una verità, ma spesso diventa uno strumento che minimizza la sua sofferenza. Ogni dolore è soggettivo e merita rispetto, indipendentemente dalla gravità apparente. Permettersi di riconoscere che sta soffrendo (senza giudicarsi per questo) è un atto necessario per iniziare a prendersi cura di sé. Forse, negli anni di terapia, ha avuto modo di esplorare alcune di queste sensazioni, ma potrebbe essere utile considerare un approccio più orientato al fare. Ad esempio, un percorso basato sulla Activation Behavioral Therapy (Terapia dell'Attivazione Comportamentale) potrebbe aiutarla a riprendere contatto con esperienze che potrebbero, anche se solo gradualmente, riaccendere quella scintilla di interesse e piacere che ora sente così lontana. Si tratta di lavorare su piccole azioni quotidiane che possono portare nuove esperienze positive, anche quando la motivazione sembra completamente assente. Quello che sta vivendo è reale e importante, e riconoscere questo è un primo passo per costruire un nuovo significato nella sua vita. Il fatto che stia qui, raccontando tutto questo, dimostra che dentro di lei c'è ancora una voce che vuole lottare per un cambiamento. Le consiglio di non restare solo in questo percorso: magari un professionista che utilizza approcci orientati all’azione potrebbe aiutarla a fare dei piccoli passi verso quella libertà che oggi sembra irraggiungibile. Perché, anche se ora può sembrare impossibile, può davvero ritrovare una strada che le dia pace e soddisfazione. Le auguro che questo percorso inizi presto. Dott. Andrea Boggero

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Salve, il suo sfogo arriva a chi ne è destinatario in modo forte e chiaro. Dispiace sentire quanto racconta, ancora di più sapendo che lei ha 27 anni. E' come se si sentisse non più aiutabile. Le chiederei se i 15 anni di psicoterapia sono stati fatti con un unico terapeuta oppure ha provato a cambiare terapeuta e orientamento terapeutico. Non potendo avere una sua risposta, le consiglierei di provare una terapia "botton up", ossia che partendo dal corpo, possa arrivare alla mente. In questo senso le consiglierei approcci come l'EMDR e la Terapia Sensomotoria che potrebbero scavallare la barriera della mente, ovvero le credenze negative che si sono via via stratificate nel corso del tempo per adottarne di più funzionali alla sua vita. Un cordiale saluto.
Dott.ssa Marina Bonadeni
Buongiorno, lei ha lanciato un vero e proprio anatema contro il diritto alla personale felicità. Una resa quasi incondizionata che, a 27 anni, suona come un sasso incastrato sotto una porta che non si apre né si chiude, è immobile ed impedisce il passaggio. In questa similitudine la porta è la sua vita, il sasso sono le sue convinzioni di irreversibilità al cambiamento ed il passaggio è il fluire degli eventi attorno a lei e a cui non ha accesso. La psicoterapia ha probabilmente costituito un fallimento ai suoi occhi, non la biasimo a sentirsi deluso o tradito da essa, probabilmente non era la risposta ai suoi bisogni. Muovendomi nella opaca dimensione della sua vita, nel senso che mancano davvero molte informazioni su di lei, raccolgo il guanto di sfida e scelgo di disegnarle un'opportunità: Non sono i pensieri, le riflessioni, le dimensioni intrapsichiche i luoghi in cui trovare le soluzioni, bensì le azioni. Ci sono molti presupposti, nelle risorse materiali che lei possiede (oltre a quelle di sensibilità emotiva), che possono essere trasformati in progetti capaci di far rinascere ciò che dalle sue parole è completamente assente: Lo stupore. Trovi la possibilità, anche a costo di immobilizzare la sua attività lavorativa, e faccia un anno sabbatico attorno al mondo. Può collegarsi ad agenzie che promuovono volontariato dando in cambio vitto e alloggio in Scandinavia, può imparare l'inglese a Sidney e contemporaneamente trovarsi un lavoretto (lì è facilissimo) senza nemmeno avere bisogno dei proventi che ne deriverebbero, semmai solo per misurarsi con colleghi o colleghe che la casualità o il destino le presenterebbero di fronte, e scambiarsi le reciproche umanità con il pretesto del "dover lavorare", potrebbe imparare lo spagnolo in un'università di una città sudamericana (io l'ho fatto) e fluire all'interno di gruppi casuali di studenti provenienti da tutto il mondo, diventando cosciente quanto loro che, una volta fuori dal proprio involucro di punti di vista, le possibilità di evolvere sono infinite. E' una emozione dalle proporzioni indescrivibili, che dilata le pareti della mente e soprattutto del cuore, al quale sembra abbia imparato a dare poco ascolto ultimamente. Le dimensioni della sua vita sembrano restringersi? non utilizzi una cerbottana per sfidare le maglie di un destino che le sembra una gabbia, usi un cannone. Provi a traguardare l'immagine di se stesso tra venti anni, scoprirebbe che la facilità con cui mettere in atto uno di questi progetti è molto più nelle sue mani di quanto le sue abitudini vorrebbero impedirle. Ci sono moltissimi siti di agenzie capaci di facilitare questi presunti "salti nel vuoto" da renderli totalmente sicuri e stuzzicanti. A cosa serve la psicologia in tutto questo? solo a incoraggiarla a trattare simili opportunità come dei diritti che si può (a mio avviso si "deve") concedere. Buona giornata
Gentile utente, dalle super parole traspare chiaramente il suo profondo dolore. Che cosa si è portato a casa dai 15 di terapia? Mi sembra un persona molto consapevole e autoriflessiva. Mi chiedo in questi anni come ha cercato di cambiare le cose? Dove ha cercato la sua felicità? Mi ha calpito quando dice "mi chiedo per chi lo sto facendo", forse per lei le cose hanno senso se c'è un altro con cui condividerle? Come sarebbe il mondo con l'altro? Oggi lei non potrebbe pensare che fare per sé è comunque valido e di valore? Cosa sta cercando?
Immagino, magari sbagliando, che dopo una così lunga terapia lei non voglia intraprendere un nuovo percorso, ma forse potrebbe aprirsi uno spazio nuovo di riflessione, mettendo un piatto nuovi scopi. Rimango a sua disposizione Dott.ssa Alessia D'Angelo
Salve,
15 anni di terapia, hai iniziato che eri poco più di un bambino. Come mai? Forse non hai trovato le risposte giuste se ad oggi hai queste enormi difficoltà.
Certo, tutti hanno i loro problemi, ma questo non rende i nostri meno seri. Ognuno vive i drammi a modo proprio, non si può paragonare un dolore, non funziona così.
Mi auguro che possa trovare il coraggio di riaffidare il tuo mondo affettivo, perché credimi lo hai, a qualcuno che sia in grado di fartelo vedere.
Un caro saluto
Lavinia
buonasera, questo suo sfogo mi ha colpito perchè mi è arrivata l'immagine mentre stavo leggendo le sue parole di una gabbia dorata dentro la quale lei molto probabilmente ci si è rinchiuso. Che cos è per lei la felicità e cos'è quel poco di cui parla che le avrebbe permesso di raggiungerla? inoltre afferma che non sarà mai libero, da chi? da cosa?
Sono tanti gli interrogativi degni di trovare una risposta ed un'elaborazione, le consiglierei fortemente di contattare un collega ( altro rispetto al primo, non tutti andiamo bene per tutti, ma ognuno ha le sue caratteristiche e specializzazioni) con il quale intraprendere un percorso di liberazione se è questo l'obiettivo a cui vorrebbe arrivare. Le auguro un grande in bocca al lupo certa che riprenderà a sognare.
Buongiorno,
Sembra si trovi in una situazione molto complessa e dolorosa... Il mio consiglio è di riprendere la terapia.
Dott. Marco Cenci
Gentile utente,
mi spiace molto leggere le sue parole e posso immaginare il suo stato d'animo e le enormi difficoltà che incontra ogni giorno. Ho letto che sta facendo un percorso e ritengo che quella sia la strada migliore per poter iniziare a stare meglio. Inoltre le consiglio di pensare ad una visita con uno psichiatra per ragionare su un eventuale aiuto farmacologico in modo da integrare la terapia ed ottenere risultati migliori. I sintomi di cui parla sembrano rientrare nel quadro della depressione e se così fosse tenga conto che ci vuole tempo per riuscire a stare meglio, ma l'importante è fidarsi dei professionisti che in questo momento la stanno affiancando. Saluti,
Dott.ssa Francesca Savoia
Mi colpiscono molto la profondità delle tue parole e il peso che stai portando. È chiaro che dentro di te c’è una grande consapevolezza, e questo può essere una forza, ma a volte, come descrivi, può diventare anche un fardello. Non sei solo in questo sentimento di vuoto, anche se può sembrare così. Voglio rassicurarti: quello che provi non è segno di debolezza, ma di una stanchezza emotiva che merita di essere ascoltata con gentilezza, non giudicata. Ma il fatto che tu stia esprimendo tutto questo è già un segno di forza. Se lo ritieni opportuno ti consiglio di rivolgerti a uno psicoterapeuta, saluti, Erika Livia!
Grazie per aver condiviso i tuoi pensieri così apertamente. È evidente che stai attraversando un momento di grande solitudine e disillusione, e il fatto che tu abbia scritto qui è già un gesto di forza. Riconoscere ciò che provi e dar voce al tuo dolore è un primo passo importante. Non esistono dolori 'giusti' o 'sbagliati', e ciò che senti è valido, indipendentemente da ciò che ti circonda o dalle esperienze altrui. Forse, potrebbe aiutarti un percorso di supporto psicologico, che possa aiutarti a scoprire modi per ritrovare piccoli frammenti di gioia e connessione, passo dopo passo. Non devi affrontare tutto questo da solo. La tua libertà, quella che ora ti sembra irraggiungibile, potrebbe iniziare da piccoli gesti di cura per te stesso. Cosa ne pensi?
Rimango a disposizione per qualsiasi cosa.
Dott.ssa Alice Bressana

Buonasera, e grazie per aver condiviso così profondamente la tua esperienza. La solitudine che descrivi e la difficoltà di trovare un significato nelle tue giornate sono vissuti dolorosi e comprensibili. Vedo che la tua sofferenza è complessa e radicata, ma anche che hai una consapevolezza notevole di te stesso, il che è un passo importante verso il cambiamento.

Nel modello cognitivo-comportamentale, lavoriamo innanzitutto su come i pensieri influenzano le emozioni e il comportamento. Dal tuo racconto, emergono alcune aree che possiamo esplorare:

1. **Pensieri ruminativi e negativi**: Hai scritto che non riesci a godere più di nulla, che i sogni sono svaniti e che ti sembra di essere intrappolato in un circolo vizioso di delusione. Questi pensieri, che ti impediscono di vedere possibilità di felicità, sono esempi di *distorsioni cognitive*. Un pensiero ricorrente come "non sarò mai libero" è molto globalizzante e assoluto. È possibile che questa visione limiti il tuo spazio per agire o esplorare soluzioni alternative. La terapia cognitivo-comportamentale ti aiuterebbe a individuare e modificare questi schemi, rendendo i pensieri più realistici e flessibili.

2. **La solitudine e il bisogno di connessione**: Hai descritto una profonda solitudine e una mancanza di interazioni che possano soddisfare il tuo bisogno di connessione. L’interazione sociale è fondamentale per il benessere, e sembra che tu stia vivendo una forma di isolamento emotivo. L'assenza di "carezze", che potrebbe essere un modo simbolico per riferirti a momenti di affetto e riconoscimento, è un altro aspetto che possiamo esplorare. Potrebbe essere utile identificare piccoli passi per creare connessioni, anche se sono interazioni brevi o momenti di scambio che non devono necessariamente risolvere tutto. La qualità delle connessioni sociali è più importante della quantità.

3. **Il valore del piccolo cambiamento quotidiano**: Mi sembra che tu abbia una sensazione di immobilità e frustrazione, ma allo stesso tempo la capacità di dire "posso andare avanti ancora un po'". Questo potrebbe essere un segnale di resilienza, anche se è difficile riconoscerlo in mezzo alla sofferenza. Un suggerimento importante sarebbe iniziare con piccole modifiche quotidiane. Anche solo fare un passo per "rompere" la routine che ti rende tutto grigio potrebbe generare un cambiamento positivo. Iniziare con un'azione che sembri "facile" potrebbe permetterti di riscoprire una forma di piacere, seppur minore, e costruire da lì.

4. **L'esplorazione dei tuoi valori e passioni**: Lavorare come gioielliere e la tua abilità con i metalli e le pietre preziose è una competenza preziosa. La domanda che ti poni su come mai non hai trovato ancora felicità può essere legata a un disallineamento tra ciò che fai e ciò che senti che ti dà valore. Potrebbe esserci un'opportunità di rivedere cosa veramente ti appassiona, cosa ti fa sentire realizzato. A volte il lavoro e la vita quotidiana sono così sopraffacenti che non ci rendiamo conto se siamo davvero allineati con ciò che ci soddisfa profondamente.

5. **Gestire il senso di "ingratitudine"**: È comprensibile che ti senta in colpa o ingiudicato per i tuoi sentimenti, specialmente considerando che riconosci che ci sono situazioni più difficili di quella che vivi. Ma voglio sottolineare che i sentimenti di solitudine e vuoto non sono un "privilegio" che si deve giustificare, e non sono meno validi per il semplice fatto che altri possano essere più in difficoltà. La sofferenza emotiva non si misura in base alle difficoltà oggettive, ma nel modo in cui le viviamo internamente.

Quello che ti suggerisco di fare è di considerare un percorso psicoterapico che ti aiuti a esplorare questi temi, a modificare i tuoi schemi di pensiero e a darti strumenti per riprendere il controllo della tua vita emotiva. Un lavoro con un terapeuta cognitivo-comportamentale potrebbe focalizzarsi su tecniche pratiche, come la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione graduale a nuove esperienze, e l’identificazione di piccole azioni che possano restituirti un senso di speranza e significato.

Inoltre, sarebbe utile anche esplorare la possibilità di introdurre attività che favoriscano il benessere fisico, come l'esercizio, e pratiche di consapevolezza, come la mindfulness, per gestire la ruminazione e il distacco emotivo che descrivi.

Ricorda che non è necessario affrontare tutto da solo, e anche se può sembrare che non ci siano molte soluzioni, piccole azioni quotidiane possono fare una grande differenza nel lungo periodo.
"Il cane che ha visto Dio": una novella di Dino Buzzati.
Gentile paziente, ciò che sta vivendo potrebbe essere riconducibile a uno stato depressivo. Sarebbe riduttivo suggerirle semplicemente qualche consiglio pratico; piuttosto, mi chiedo come sia arrivato a sperimentare un isolamento sociale così significativo. L'altro le appare minaccioso? Giudicante? Umiliante?
Se ha interrotto una terapia, le suggerirei di riprenderla, eventualmente valutando un diverso orientamento o un nuovo professionista. Una prospettiva differente sul suo problema potrebbe rappresentare quella scintilla necessaria per avviare un cambiamento. La solitudine, spesso, non è un caso, ma una scelta che può essere compresa e affrontata con il giusto supporto.
Buonasera! Forse è necessario lavorare ancora in terapia. Ti sarebbe bastato poco per essere felice? Hai fatto bene a sfogarti, ma probabilmente è il momento di tornare in terapia e fare i passi che non hai fatto precedentemente. Ovviamente è una risposta sommaria, ma quello di cui parli nel tuo sfogo è un po' troppo astratto e poco concreto. Cosa intendi per felicità? Cosa manca alla tua vita? Che cosa vuoi davvero?

Un abbraccio!
Innanzitutto grazie per aver condiviso il tuo sfogo. Le parole che hai scritto sono piene di emozioni profonde, e voglio partire da un punto importante: non minimizzare mai ciò che stai vivendo. Dire che ci sono "problemi più grandi" non rende il tuo dolore meno valido o meno degno di attenzione. L’infelicità, come quella che descrivi, è un problema enorme, che merita tutta la cura e il rispetto possibile. È un segnale che il tuo benessere interiore sta chiedendo aiuto, e questo non deve mai essere ignorato.

Hai affrontato un lungo percorso di terapia, e immagino che insieme alla/un collega tu abbia già esplorato le radici di questa sofferenza e i tanti aspetti della depressione che descrivi. E questo dimostra una grande forza: nonostante tutto, hai cercato di prenderti cura di te stesso e non ti sei arreso. Anche adesso, mentre scrivi queste righe, stai facendo un atto di coraggio: esprimere quello che provi è già un passo importante verso un cambiamento.

Quello su cui vorrei focalizzarmi è un invito: prova a concederti ancora uno spazio di possibilità. È chiaro che dentro di te c'è una parte che desidera qualcosa di diverso, che vuole ancora sperare, anche se sembra difficile o lontano. Potresti valutare di tornare in terapia, magari con un approccio diverso o con un nuovo professionista, per esplorare non solo le radici del dolore, ma anche nuovi strumenti per uscire da questo senso di rassegnazione. La terapia non è solo analisi, ma può essere anche un mezzo per costruire nuovi significati, nuove abitudini, nuove prospettive.

Un'altra cosa che voglio dirti è che la felicità non è sempre qualcosa di enorme o lontano: a volte si trova in piccoli passi, in micro-cambiamenti che magari sembrano insignificanti, ma che possono fare la differenza. La solitudine che descrivi è profonda e dolorosa, ma non è immutabile. Esistono modi per riaccendere i colori che ora ti sembrano sbiaditi, e non devi affrontare tutto questo da solo.

Ti incoraggio a non mollare, a non chiudere la porta a te stesso, perché c’è ancora spazio per la speranza. E anche se ora tutto sembra opaco, il fatto che tu stia cercando di dare un senso a ciò che provi dimostra che dentro di te c’è ancora quella scintilla. È da lì che si può ripartire. Se vuoi parlarne ancora, sono qui per ascoltarti.
Ciao,
le tue parole portano con sé una solitudine che non è fatta solo di assenza di relazioni, ma di una mancanza di presenza, anche verso te stesso. È come se il mondo si fosse ritirato, lasciandoti in uno spazio vuoto, dove nemmeno i sogni trovano più posto. Mi colpisce il modo in cui racconti questa esperienza: non c’è solo il dolore, ma anche una lucidità feroce nel riconoscere ciò che ti manca, ciò che non funziona. Non è facile stare in questo stato di consapevolezza così nitida, e mi chiedo quanta forza ci voglia, ogni giorno, per attraversare questo deserto.
Quando parli della tua casa bellissima ma vuota, è come se raccontassi di un luogo in cui la bellezza stessa. fredda, lucida, non riesce a fare compagnia. Forse ciò che manca non è un luogo o una cosa, ma il sentirti davvero visto, toccato, raggiunto da qualcuno o da qualcosa. È un desiderio così umano! Il bisogno di essere riconosciuti per quello che siamo, al di là di quello che abbiamo o facciamo, è una necessità psichica e fisica.
Hai camminato tanto, sembra, ma in una direzione in cui la cura per te stesso – quella vera, che non è solo funzionale o tecnica – è rimasta in ombra. Curare non è solo un atto esterno, è un modo di stare con ciò che c’è, con tutto ciò che sei, anche con la parte di te che giudichi “miserabile”. È guardare quella parte, starci accanto, non per cambiarla o respingerla, ma per riconoscerla come parte di te, senza lasciarle però tutto lo spazio.
Forse potrebbe aiutarti provare a tornare ai gesti più piccoli, che non chiedono risposte o soluzioni immediate, ma che riportano un filo di vita nel presente. Non parlo di “distrarti”, ma di costruire una relazione con il tempo che vivi, anche attraverso azioni semplici: cucinare qualcosa che ti piace, camminare in silenzio, scrivere ciò che senti senza pretesa che abbia un senso. Non serve che tutto sia perfetto o risolto, ma questi gesti possono cominciare a ricostruire un ponte, anche fragile, verso te stesso.
Non so se qualcuno te lo abbia mai detto, ma quello che provi merita ascolto. Anche in questo momento, in cui tutto sembra immobile e grigio, stai cercando qualcosa: lo dimostra il fatto che hai deciso di scrivere. Le tue parole chiedono un’eco, qualcuno che le raccolga. E io vorrei dirti che il tuo dolore è reale, ma non è tutta la tua verità. Esiste una parte di te che ancora cerca, che si muove, e che forse può cominciare a scoprire che la cura – quella vera – può cominciare anche nel buio e nel silenzio.

Un caro saluto,
Antonella D’Orlando

Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Gentile utente, il tuo vissuto è profondo e carico di significato. La tua solitudine sembra una ferita antica, radicata in una storia che forse non ha mai trovato uno spazio pienamente accogliente per essere raccontata e compresa. È doloroso vivere sentendo di avere tutto e, allo stesso tempo, nulla di ciò che conta davvero.
La tua consapevolezza, per quanto amara, è una forza: stai guardando in faccia il vuoto, anche se fa paura, e questo è il primo passo verso un cambiamento. Forse, più che cercare risposte definitive, potresti iniziare a esplorare domande diverse: non tanto "per chi sto andando avanti?", ma "cosa posso fare, anche in piccolo, per sentire di appartenere a questa vita?".
Non sei solo nella tua lotta, anche se tutto ti fa sentire il contrario. Può esserci uno spazio nuovo, fuori o dentro di te, da cui ripartire, ma per trovarlo serve tempo, e forse anche una nuova guida o un modo diverso di guardare a ciò che hai vissuto. Non mollare, anche se ora tutto sembra grigio. I colori possono tornare, ma prima bisogna riaprirsi alla possibilità di vederli.
Il potenziale proprio dell'umano è sempre dentro di te.
Buone feste.
Dott. Paolo Cavallin
Buongiorno, mi dispiace per questa tua profonda sofferenza. Descrivi una forte demotivazione e appiattimento emotivo, solitamente tipici della depressione, che da come capisco, stai vivendo da davvero troppo tempo. Con questa condizione la sensazione di sentirsi miserabili, inutili e fortemente insoddisfatti di se stessi, è molto comune. Sicuramente c'è chi fisicamente sta peggio e ha meno cose, ma la sofferenza psicologica è altrettanto importante e per questo non va assolutamente trascurata o minimizzata. Il consiglio che mi sento di dare è di rivolgerti a uno psichiatra che possa valutare insieme a te di darti un sostegno farmacologico, in modo da ridurre l'intensità dei sintomi e rendere un'eventuale psicoterapia più efficace. Rimango disponibile per altro supporto e intanto ti auguro di riuscire a trovare la strada per stare meglio. Dott.ssa Anna Tosi
Buonasera,
grazie per aver condiviso il suo vissuto, comprendendo quanto possa essere difficile convivere con una sensazione di solitudine così radicata e pervasiva. Le sue parole descrivono un'esperienza di profonda sofferenza emotiva, ma anche una consapevolezza lucida di sé e delle proprie difficoltà, che è un elemento prezioso da cui partire.
Questa consapevolezza, per quanto possa sembrare frustrante, rappresenta un punto di forza, perché riconoscere il proprio malessere è il primo passo per affrontarlo. Il fatto che lei abbia già intrapreso un lungo percorso di terapia è indice di una volontà di prendersi cura di sé, e questo è un aspetto importante su cui lavorare per riprendere il contatto con ciò che la circonda e, soprattutto, con sé stesso.
La sensazione di vuoto che descrivi, la perdita di sogni e il senso di rassegnazione sono segnali che non dovrebbero essere ignorati. È normale sentirsi sopraffatti in certi momenti, ma ciò non significa che non esiste una via d'uscita o che sia impossibile recuperare un senso di benessere.
Le suggerirei di valutare la possibilità di riprendere un percorso psicoterapeutico, magari orientando su approcci specifici come la Mindfulness o l'EMDR, che possono essere di grande aiuto nel gestire il dolore emotivo ei pensieri negativi. Lavorare su una maggiore connessione con le sue emozioni, la sua storia personale e le sue risorse interiori potrebbe aiutarla a ritrovare una forma di serenità e ad aprirsi nuovamente alla possibilità di costruire relazioni significative.
A volte, bastano piccoli passi per iniziare un cambiamento: cercare una nuova attività, frequentare ambienti diversi o coltivare un hobby che le piaccia possono essere modi per riaccendere un interesse nella sua quotidianità. Non è mai troppo tardi per scoprire nuove possibilità di felicità, anche partendo da momenti di difficoltà.
Sarebbe utile e consigliato approfondire questa situazione rivolgendosi a uno specialista, che potrà aiutarla ad esplorare e affrontare queste sensazioni in modo personalizzato e professionale.

Dottoressa Silvia
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa







Buongiorno, sono profondamente dispiaciuto per il senso di solitudine che stai vivendo. È vero che ogni uno ogni giorno fa i conti con i propri problemi, ma credo sia poco utile paragonare i propri vissuti o sofferenze con quelle altrui.
Penso che potresti trovarti qualche attività, corso di tuo interesse, volontariato, sport che ti metta in contatto con persone che non conosci e dove puoi instaurare nuovi rapporti, tuttavia a volte ci si può sentire soli anche se si è circondati da attività e persone, per questo dovresti trovare un professionista che sia in grado di instaurare un rapporto nel quale tu ti senta compreso e capito, e che sia in grado di capire cosa c'è dietro questo senso di profonda solitudine. Penso che lavorando su ciò che stai vivendo e creandoti nuove opportunità di relazione, potrai vivere una vita con le qualità che stai cercando.
Quello che ti auguro è che tu riesca ad andare verso ciò che stai cercando ossia pace e felicità. Un caro saluto a te
Buongiorno,
Dare colore e voce a quello che sente credo sia un buon modo per riconoscersi in una nuova possibilità di creare un nuovo cammino soddisfacente in cui la vede protagonista di passi verso la socializzazione. Tenga presente che il mondo odierno non facilita la socializzazione vera per cui bisogna essere cauti anche sotto questo aspetto.
Non so se ha mai provato a far parte di associazioni piccole per un confronto ed una apertura che possa dare una spazio per convogliare parte della solitudine.
La solitudine potrebbe essere il mezzo da riconoscere che i suoi sentimenti sono validi e vivi e che nel tempo la sua "solitudine" potrebbe essere nella giusta misura un'alleata della vita.
In un circolo di mazzate e delusioni, probabilmente c'è la necessità di godere liberamente lasciando andare gradualmente il vecchio modo di vivere senza rinunciare ad confronto verso obiettivi chiari da prefissarsi.
Abbassare un pò le aspettative non significa perderle, anzi.
Colgo il momento per augurarle oltre a un buon Natale di pace anche la possibilità che si cela dietro il vero senso natalizio del rinascere. Le chiedo di porsi questa domanda:- Si può essere felici con poco guardando la propria rinascita da altri punti di vista?

Mi faccia sapere cosa ne pensa al riguardo.
Saluti
Dr.ssa Manuela Valentini Psicologa
Buongiorno gentile Utente, mi dispiace profondamente leggere della sofferenza e della solitudine che sta vivendo. Le sue parole trasmettono un dolore intenso, che sembra essersi accumulato nel tempo, e una sensazione di isolamento che l’ha portata a sentirsi intrappolato. È importante che sappia che il suo sfogo non è insignificante né sbagliato: il fatto che lo abbia condiviso è già un gesto coraggioso e prezioso.

Lei descrive una vita che, pur ricca di esperienze e competenze come il suo lavoro di gioielliere, appare svuotata di significato personale. È comprensibile che questa situazione la porti a sentirsi disconnesso da se stesso e dagli altri. La solitudine che prova non è una colpa né un limite insuperabile, ma un segnale che forse c’è qualcosa di importante che non è stato ancora ascoltato o compreso a fondo.

A volte, dopo anni di terapia, può sembrare che non ci sia più niente da fare, ma non è mai troppo tardi per riprendere in mano il proprio percorso. Ci sono momenti in cui, nonostante tutto l’impegno, si può avere l’impressione di essere bloccati. Questo potrebbe essere un punto di svolta, un’occasione per esplorare nuovi approcci, o anche solo per trovare un modo diverso di prendersi cura di sé.

Le suggerisco di non affrontare tutto questo da solo. Consideri la possibilità di ricontattare un terapeuta, magari con una prospettiva nuova rispetto a quelle seguite finora. Esistono approcci terapeutici che lavorano sul recupero del senso di connessione con se stessi e con il mondo, come la terapia basata sulla mindfulness o altri orientamenti focalizzati sul significato e sulla costruzione di relazioni.

Infine, si conceda il diritto di essere gentile con se stesso. È umano sentirsi arrabbiati o scoraggiati, ma non significa che non ci sia speranza. Anche un piccolo passo, come cercare di costruire una nuova routine o trovare una piccola attività che le piaccia, può essere un primo segnale di cambiamento. Lei merita di trovare non solo la libertà, ma anche la pace e la felicità che desidera e che, con il tempo e il giusto supporto, possono essere raggiunte. Non rinunci a sé stesso.

Dott. Luca Vocino
Salve, ho letto attentamente le sue parole e voglio innanzitutto ringraziarla per la profondità e la complessità delle emozioni che ha condiviso. Esprimere ciò che si sente, anche attraverso uno sfogo, è già un passo importante, perché dà voce a ciò che spesso resta sepolto e inascoltato.
La solitudine e il senso di vuoto che descrive sono esperienze che, per quanto possano sembrare insuperabili, meritano attenzione e cura. La consapevolezza che dimostra nel descrivere il suo stato emotivo, il suo rapporto con i ricordi, la fantasia e la quotidianità, indica una grande sensibilità e una capacità di introspezione preziosa. Tuttavia, questa stessa sensibilità può talvolta amplificare il peso delle difficoltà.
Il desiderio di interazione, anche minimo, che lei menziona – come il contatto casuale con un passante – evidenzia quanto la connessione umana sia un bisogno fondamentale. La solitudine prolungata può alimentare una spirale di pensieri negativi, ma va sottolineato che questa situazione non definisce chi è lei né ciò che è possibile per il suo futuro.
Lei descrive una casa bella ma vuota, una vita apparentemente ben costruita che però non sembra darle soddisfazione. Questo conflitto tra ciò che appare e ciò che si sente interiormente è un tema che può essere esplorato più a fondo con l’aiuto di un professionista. Non perché lei sia "debole" o "ingrato" – termini che usa con severità verso se stesso – ma perché merita di trovare uno spazio sicuro dove comprendere meglio le sue emozioni, i suoi bisogni e, magari, nuove possibilità di cambiamento.
La stanchezza emotiva che descrive, quel senso di rassegnazione che colora ogni cosa, può essere un segnale importante. Così come il suo sentirsi "non libero", un tema che merita attenzione, perché la libertà, anche interiore, è qualcosa che si può recuperare, passo dopo passo, con il giusto sostegno.
La invito a rivolgersi a uno psicologo o uno psicoterapeuta, per esplorare insieme a lui questi temi. Attraverso un dialogo costruttivo e non giudicante, potrebbe scoprire nuove prospettive e strategie per affrontare questa fase della sua vita. Nessuno dovrebbe affrontare da solo un carico emotivo così grande, e non c’è nulla di sbagliato nel chiedere aiuto.
Le auguro sinceramente di trovare un percorso che le restituisca il senso dei colori, e, soprattutto, della speranza.
Buonasera,

prima di tutto, voglio esprimerle la mia comprensione per il grande dolore che sta vivendo in questo momento. È evidente che sta attraversando un periodo estremamente difficile, in cui la solitudine e il senso di rassegnazione sembrano occupare gran parte del suo vissuto quotidiano. La sua sofferenza è palpabile, e il fatto che stia cercando un modo per esprimere questo malessere è un passo importante. Anche se può sembrare che non ci siano risposte soddisfacenti alle sue domande o che non ci siano soluzioni immediate alla sua condizione, voglio cercare di darle alcune riflessioni che potrebbero aiutarla a fare chiarezza su alcuni aspetti del suo percorso.

Innanzitutto, vorrei che sapesse che la sua esperienza di solitudine e disillusione non la rende né stupido né debole, come sembra pensare di sé stesso. Al contrario, il fatto che lei sia così consapevole della propria sofferenza e dei propri bisogni è un segno di grande sensibilità e di un profondo desiderio di cambiamento. Capisco che, in momenti come questo, possa sembrare che ogni tentativo di "andare avanti" o "trovarsi" non conduca mai a nulla di appagante, ma è importante ricordare che la sofferenza che sta provando non è un segno di fallimento. A volte, il peso della solitudine, delle aspettative disattese e delle esperienze dolorose può schiacciarci, facendoci perdere di vista anche le cose positive che abbiamo. Ma questo non significa che sia troppo tardi per iniziare a costruire una via di uscita.

Parlando del "perché" della sua vita e del senso che vi attribuisce, è comprensibile che si senta smarrito. Dopo anni di terapia, quando la mente sembra non riuscire più a trovare spunti per la speranza o la fantasia, il sentimento di vuoto e di disillusione diventa ancor più pesante. Questo non significa che le sue esperienze passate non abbiano avuto valore, ma che il momento che sta vivendo richiede un’altra riflessione, forse un passo diverso.

Un aspetto fondamentale che mi sembra emergere dal suo racconto è la difficoltà nel "trovare" qualcosa che possa darle gioia o senso. Ciò che descrive come "fantasia che non funziona più" e la sensazione che "i colori non esistano più" suggerisce una sorta di anestesia emotiva, che può derivare da un'intensa sofferenza psicologica. Quando il dolore è stato prolungato nel tempo, il nostro cervello e il nostro cuore a volte "spengono" la nostra capacità di percepire emozioni positive per proteggerci dal troppo dolore. Quella che descrive come "rassegnazione" potrebbe essere, in realtà, una difesa che si è sviluppata in risposta a tante delusioni, e non necessariamente una condizione permanente.

La solitudine che sente è una delle esperienze più devastanti per l’essere umano, e in effetti il suo desiderio di un'interazione, anche minima, con un venditore ambulante o qualcuno che distribuisce volantini, è una manifestazione chiara di quel bisogno di connessione che però non trova soddisfazione nella sua vita quotidiana. La solitudine, infatti, non è solo una questione di stare fisicamente da soli, ma di non riuscire a sentirsi visti, compresi o accolti nella propria essenza più profonda. Quando ci si sente soli nel cuore, è naturale cercare anche nelle cose più piccole una sorta di anelito di contatto. È comprensibile che ciò possa farla sentire ancora più triste e impotente, soprattutto se percepisce che questa mancanza di connessione è una costante da anni.

Lei parla di sogni che sembrano svaniti, di un senso di impotenza, ma credo che sia importante ricordare che non è necessario avere "sogni" grandi o definiti per essere felici. A volte, in momenti di grande dolore, il passo più piccolo — come trovare uno spazio in cui sentirsi meglio, anche se temporaneamente — è già un passo di crescita. Questo non significa ignorare il profondo desiderio di un cambiamento, ma piuttosto concedersi la possibilità di "ripartire" in modo graduale, accettando anche i momenti di fragilità e di silenzio emotivo come parte di questo percorso.

Non essere mai libero è una riflessione che comprendo, ma credo che sia essenziale distinguere tra la "libertà" che possiamo cercare di ottenere dal mondo esterno e quella che possiamo iniziare a costruire dentro di noi. La consapevolezza che "bastava poco" per essere felici può essere dolorosa, ma non è una condanna. Forse si tratta di riprendere il controllo di quei piccoli momenti che ci danno sollievo e, lentamente, ampliare questi spazi in cui il "perché" non è più la domanda centrale, ma semplicemente "cosa posso fare oggi per sentirmi un po' meglio?". A volte, la felicità non arriva subito, ma cresce in modo impercettibile e progressivo. Non è mai troppo tardi per riconoscere che ci sono piccole cose che possono fare la differenza: un gesto gentile verso di sé, un'iniziativa nuova, anche piccola, che possa gradualmente riempire i vuoti che sente.

Mi sento di suggerirle di parlare con un professionista che possa aiutarla a esplorare questa profonda solitudine e la sua percezione di sé, non solo per affrontare il dolore, ma per sviluppare nuove modalità di ascolto di sé e di contatto con la realtà che la circonda. Una psicoterapia focalizzata sull’autocomprensione, sulla gestione delle emozioni e sull’empowerment potrebbe aiutarla a dare forma e spazio alla sua sofferenza, in modo da cominciare a trovare un senso che non si limita solo al fare o all’apparenza. Inoltre, mi sento di consigliarle di esplorare pratiche come la mindfulness o la meditazione, che possono favorire una connessione più profonda con sé stesso, senza forzare alcun tipo di cambiamento immediato.

Le auguro sinceramente di trovare, passo dopo passo, una via che la conduca a una maggiore serenità, consapevole che i piccoli cambiamenti sono importanti quanto le grandi trasformazioni. Non è mai facile affrontare il dolore profondo, ma ogni giorno è un’opportunità per avvicinarsi a sé stessi con maggiore compassione.

Rimango a sua disposizione per qualsiasi ulteriore domanda o riflessione.

Cordiali saluti,
Dott.ssa Marta Landolina
Ciao,
leggere le tue parole mi ha fatto venire il cuore in gola, perché riesco a percepire profondamente la solitudine e la tristezza che stai vivendo.
È come se tu stessi cercando di camminare su un sentiero che sembra senza fine, in cui ogni passo ti pesa e tutto appare spento.
Vivere con un senso di vuoto che sembra non colmarsi mai è qualcosa che lascia davvero il segno, e posso solo immaginare quanto ti possa sentire intrappolato in questo momento.
Sebbene tutto sembri buio, il fatto che tu stia condividendo questo dolore è un gesto enorme. Non sei solo in questo cammino, anche se ora ti sembra che tu lo sia. È in momenti come questi che, purtroppo, è difficile vedere la luce, ma quella luce c'è, anche se ora è piccola, nascosta da tutto ciò che stai vivendo.

Ti capisco quando parli della rassegnazione che provi, e di come anche le cose che amavi prima sembrino aver perso colore. Ma so anche che dentro di te c'è ancora una scintilla di speranza.
La tua sensibilità, la tua consapevolezza, sono qualità fortissime, e ti possono aiutare a camminare verso un futuro migliore, anche se ora ti sembra lontano.
Non è facile, lo so. Ma ti invito a guardare te stesso con gli occhi di qualcuno che merita di essere amato, che merita di ricevere il bene che stai cercando.
Può essere utile fare piccoli passi, senza fretta, magari cercando di riprendere contatto con le piccole cose che ti fanno stare bene, senza pressione, ma con dolcezza.

Se ti fa piacere, possiamo continuare a parlarne insieme, con calma, per cercare di capire come affrontare passo dopo passo questa sofferenza. Hai già fatto tanto, riconoscendo ciò che senti. E ogni piccolo gesto che fai per te stesso conta.
Un abbraccio, con affetto.
Buonasera,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità il suo vissuto. La solitudine che descrive è un dolore profondo e spesso difficile da affrontare da soli, soprattutto quando sembra che ogni tentativo di trovare un senso o una via d'uscita venga annullato dalla rassegnazione e dal disincanto. È comprensibile sentirsi intrappolato in un ciclo di delusioni, dove anche le cose che prima offrivano piacere ora sembrano svuotate di significato.
Anche se la sua vita e le sue esperienze possono sembrare irrimediabilmente staccate dalla felicità, è importante sapere che questo senso di impasse non è una condanna definitiva. La difficoltà che sta vivendo non è una debolezza, ma una risposta naturale alle sfide emotive che ha affrontato. È normale sentirsi persi e senza speranza dopo anni di lotta, ma non per questo non ci sono possibilità di cambiamento.
Non si senta mai stupido o ingrato. Ogni sofferenza ha un valore, indipendentemente dalla comparazione con quella degli altri. Lei sta vivendo una realtà difficile, e riconoscerlo è già un passo importante. Non è mai troppo tardi per cercare aiuto o per cambiare le cose che le sembrano irreparabili.
Per qualunque cosa, resto a sua disposizione.
Saluti.

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